Coronavirus, com'è la situazione nelle terapie intensive
La situazione nelle terapie intensive in Italia è sotto controllo, ma è innegabile che negli ultimi giorni qualcosa sia cambiato. Proporzionalmente all’aumento dei contagi di Covid-19 che si registra ormai per la quinta settimana consecutiva e si appresta a tornare alla quota dei mille nuovi casi giornalieri, sono cresciuti anche i ricoveri in terapia intensiva (venerdì 21 agosto erano 69). L’età media dei contagiati è scesa e si tratta per più della metà di asintomatici, ma al tempo stesso in terapia intensiva la forbice è tra i 40 e i 60 anni, con un trend all’abbassamento.
Secondo l’esperto di biologia molecolare Enrico Bucci, professore aggiunto alla Temple University di Filadelfia, nonostante sia da riconoscere che i numeri sono ancora contenuti, «la tendenza esiste e va fermata. Dal 3 agosto, per oltre due settimane si è avuto quasi ogni giorno un aumento di qualche unità». Al momento, dunque, nessun allarme, ma è importante tenersi pronti.
TRE GIORNI DOPO. Quando, tre giorni fa, ho postato il mio grafico, eravamo a 56 ricoveri netti in terapia intesiva; poi...
Pubblicato da Enrico Bucci su Mercoledì 19 agosto 2020
L’aumento dei pazienti nei reparti di rianimazione «non è preoccupante», assicura in un’intervista al Corriere Massimo Antonelli, direttore di Anestesia e rianimazione del Policlinico Gemelli di Roma e membro del Cts, che aggiunge: «La rete delle terapie intensive regge bene, ci siamo organizzati». La percentuale dei ricoverati in Ti rispetto al totale dei positivi al Sars-CoV-2 resta sotto l’1%, mentre nel momento più nero della pandemia aveva raggiunto anche il 5%. La pressione negli ospedali dunque non è allarmante, ma è innegabile che il ripopolamento dei reparti di rianimazione non possa essere minimizzato. L’esperto aggiunge: «I posti letto intensivi sono passati da 12 a 14 ogni 100 mila abitanti, crescendo in totale da 5.300 a 8.000: sufficienti a sostenere l’impatto di una seconda ondata».
Una recrudescenza che è probabile, secondo quanto riportato dagli scienziati nei giorni scorsi e come testimonia la carica virale nei tamponi dei nuovi positivi, che è in media molto più alta rispetto a quella rilevata a luglio. Non ci sono studi certificati che dimostrino che una maggiore quantità di Rna nel sangue corrisponda a una maggiore contagiosità, ma certo è una spia del fatto che stiano emergendo nuove infezioni, che poi prendono forma in numerosi focolai che è fondamentale saper intercettare sul nascere. Come? Attraverso un'attenta mappatura delle esposizioni, anche con l'utilizzo dell'app Immuni. Importante anche, da parte dei cittadini, perseverare nei comportamenti di contenimento del contagio, come uso delle mascherine, igiene delle mani e mantenimento della distanza sociale.
Certo la capacità di tracciare i contatti e effettuare test diagnostici in tempi brevi è migliorata. A parità di contagi, a maggio chi si sottoponeva a tampone erano principalmente i ricoverati e alcune categorie di persone specifiche, come gli operatori sanitari o gli anziani ospiti delle Rsa. Oggi la situazione è diversa, il sistema funziona decisamente meglio e si è in grado di processare più tamponi in meno tempo, ma è importante sottolineare che il rapporto tra positivi e persone testate è comunque raddoppiato da inizio agosto a oggi (ieri era all’1,32%). Di conseguenza, è superficiale limitarsi a credere che i contagi aumentino solo perché aumentano i test: il virus sta circolando ancora e la pandemia non è finita.
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