Coronavirus, al centralino Areu i dubbi, le paure, i grazie
Raccontano la percezione dell'emergenza le centinaia di telefonate che arrivano ogni giorno al centralino Areu del numero verde che la Lombardia ha dedicato al coronavirus.
All'inizio prevalevano i dubbi, l'incredulità, a volte i capricci davanti a cambi continui di regole e decreti. Poi è arrivata la paura. L'8 marzo un decreto sigilla la Lombardia.
Marko, volontario centralinista risponde a una delle chiamate: «Pronto, senta, ci sono restrizioni per scendere a Palermo?», chiede la voce dall'altra parte della cornetta. «Sì - risponde - non si può uscire dal territorio lombardo», «Ma anche se vado in macchina?», «Non può uscire», «Ma anche se non prendo l'aereo?», insiste ancora l'utente, «Certo, non può uscire». «E se vado a piedi, chi mi può fermare?». Marko si arrende: «Alzo le braccia».
Le misure diventano più restrittive, con il divieto di spostarsi da un comune all'altro e la possibilità di uscire di casa solo per motivi di stretta necessità, ma la paura ancora non si fa sentire per tutti.
C'è chi pensa al cibo del cane: «Il mio cane mangia solo quello che mi prepara il macellaio che sta vicino a Varese, ma io sto a Pavia: con questo decreto posso comunque andare?». O alle pulizie di casa: «Buongiorno, vorrei sapere se le colf possono circolare?».
Nel frattempo il contagio si allarga: le chiamate arrivano da Bergamo e provincia. Ai volontari che inizialmente non avevano nessun dispositivo di precauzione vengono consegnati gel disinfettante, mascherine, alcol con cui devono pulire le postazioni. All'inizio e alla fine di ogni turno si misura la febbre.
Da «metà marzo» cambia il tenore delle chiamate: «Chiedono sempre dei tamponi: come e dove farli, perché a qualche amico o parente è stato fatto e a loro no. La gente ha paura», racconta Marko. L'onda lunga del virus si sposta da Bergamo e Brescia a Milano, qualcuno va in panico: «Un signore ci ha tenuti al telefono più di mezz'ora, voleva a tutti i costi che lo ricoverassimo perché aveva la pressione a 100/160».
Il coronavirus continua a correre in Lombardia, colpendo sempre più medici e infermieri, e così anche l'organizzazione del centralino cerca di stare al passo: una linea viene dedicata solo alle telefonate del personale sanitario. Ora non ci sono più chiamate «strane», quelle su cui «facevi un sorriso».
Ci sono «drammi veri», chiamate pesanti da gestire emotivamente, quelle che quando riattacchi «ti rimangono proprio addosso», spiega Marko. È il caso di un operatore sanitario che, dopo aver visto morire molti anziani nella sua Rsa, chiama spiegando di essere stato contagiato per non aver potuto usare i dispositivi di protezione individuale; o dell'anziana con il marito in fin di vita in terapia intensiva che piangeva da sola a casa, o ancora chi ha visto «decimata la famiglia, padre, madre e fratello» e non sapeva nemmeno se andare alle esequie, abitando in un altro comune.
«Ma la costante di tutte le telefonate è stata la gratitudine delle persone - conclude Marko - Non un momento di aggressività, non una parola cattiva, non un moto di stizza. Credo non sia così scontato, vista la criticità del momento e considerando le crescenti tensioni sociali di questi ultimi anni».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato