Congo, Iacovacci tentò di salvare l’ambasciatore nella sparatoria
Non è stato fuoco amico ad ucciderli. È il tassello di certezza da cui parte l’indagine della Procura di Roma che sta tentando di chiarire tutti gli aspetti relativi alla morte dell’ambasciatore italiano Attanasio e del carabiniere Iacovacci, morti in Congo il 22 febbraio scorso.
«Iacovacci è intervenuto per tentare di portare via l’ambasciatore dalla linea del fuoco nella sparatoria tra sequestratori e Rangers intervenuti. A quel punto gli assalitori avrebbero sparato nella direzione dei nostri connazionali». Non è stata un’esecuzione sommaria, ma un furioso scontro a fuoco. L’attività istruttoria svolta a Kinshasa si è avvalsa della collaborazione della Farnesina e di Onu e Pam. Il procedimento avviato a Roma punta anche ad accertare la matrice del gruppo di sequestratori e il motivo del tentato sequestro terminato in tragedia.
Gli inquirenti stanno valutando una terza missione da parte del Ros nella zona di Goma per acquisire elementi sulla dinamica della sparatoria e effettuare accertamenti balistici. I pm hanno anche inviato una rogatoria internazionale in Congo con la quale si chiede di trasmettere gli atti di indagini svolti finora dalle autorità africane. Secondo fronte. L’indagine romana ipotizza il reato di omicidio colposo, oltre al tentativo di sequestro con finalità di terrorismo. La nuova fattispecie ipotizzata è legata alla tranche di accertamenti che punta a chiarire eventuali negligenze sul rispetto dei protocolli Onu e Pam nell’organizzazione della missione del diplomatico nella zona del Parco di Virunga.
In questo ambito preziosa potrebbe risultare l’analisi del tablet dell’ambasciatore trovato sul fuoristrada su cui viaggiava ed ora in mano agli inquirenti italiani che nei giorni scorsi hanno anche ascoltato la moglie di Attanasio. Chi indaga vuole verificare se ci siano state anomalie nel sistema di comunicazione tra le due strutture nel complesso sistema che regola le attività delle security.
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