Attacco in Afghanistan: ancora bombe e morti a Jalalabad
Dopo la presa di Kabul, il 15 agosto scorso, i talebani avevano promesso di riportare la sicurezza dopo le devastazioni decennali della guerra. Invece in Afghanistan si continua a morire. È successo a Jalalabad, capoluogo della provincia orientale di Nangarhar, dove almeno 3 bombe sono esplose quasi simultaneamente, una contro un veicolo talebano di pattuglia. Il bilancio è di almeno 3 morti e 18 feriti tra cui donne e bambini, ha denunciato un funzionario locale, mentre le immagini hanno mostrato un pick-up con una bandiera bianca dell'Emirato in mezzo ai detriti.
Tutti gli indizi convergono sui jihadisti dell'Isis-K, il ramo afghano dell'organizzazione terroristica, sunnita e intransigente come i talebani, ma da sempre in contrapposizione con gli studenti coranici, accusati di essere venuti a patti con gli occidentali. L'Isis-K è molto attivo nell'est del Paese ed il 26 agosto aveva già scatenato il caos all'aeroporto di Kabul, nel pieno dell'evacuazione degli stranieri, facendo una strage.
Questi ultimi sviluppi sul terreno sono oggetto di riflessione tra le potenze regionali. A partire soprattutto dal Pakistan, di fatto il principale sponsor dei talebani. Imran Khan è sceso di nuovo in campo per tentare una mediazione che allarghi l'esecutivo messo in piedi dai talebani l'8 settembre tenendo fuori le componenti uzbeke, tagike e hazara. Il premier pachistano ha iniziato nuovi colloqui con Kabul e altri leader, come il presidente del Tajikistan. «Dopo 40 anni di conflitto, un governo inclusivo assicurerebbe pace e stabilità all'Afghanistan e all'intera regione», ha sottolineato Khan. Anche l'Iran sciita teme l'instabilità alle proprie porte. «Non permetteremo che gruppi terroristici e l'Isis si insedino vicino al nostro confine», ha avvertito il presidente Ebrahim Raisi. La situazione in Afghanistan, per forza di cose, sarà uno dei temi caldi all'assemblea generale dell'Onu, che inizierà la settimana prossima, mentre il G20 a presidenza italiana terrà una riunione ad hoc a fine mese.
Le bombe jihadiste a Jalalabad sono esplose in una giornata simbolica per il nuovo corso talebano: la riapertura delle scuole secondarie, ma soltanto per gli studenti e gli insegnanti maschi. Mandando così in fumo 20 anni di progressi nell'emancipazione femminile (l'alfabetizzazione era quasi raddoppiata). «Il futuro mi appare nero», ha confidato alla Bbc una ragazza che sognava di fare l'avvocato. «Devo restare a casa e aspettare che qualcuno bussi alla porta e mi chieda di sposarlo?», il suo sfogo. L'Unicef ha chiesto che «tutte le ragazze siano in grado di riprendere la loro istruzione senza ulteriori ritardi», ma tale appello rischia di cadere nel vuoto, se si considera che i talebani hanno sostituito il Ministero delle Donne con il «Ministero della preghiera e della promozione della virtù».
I nuovi padroni del Paese intanto incassano un risultato che alimenta la loro retorica contro gli invasori. Gli Usa hanno ammesso il «tragico errore» di avere ucciso 10 civili, tra cui 7 bambini, in un attacco di droni condotto contro sospetti miliziani dell'Isis a Kabul, il mese scorso. Nonostante i dubbi dei media americani e le denunce dei familiari delle vittime, finora il Pentagono aveva difeso lo strike diretto contro una «minaccia imminente».
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