Italia e Estero

Alluvione in Emilia, Unicef Brescia: «I giovani sono la salvezza di queste terre»

Gianfranco Missaia racconta l'esperienza a Faenza partendo dai volontari bresciani, gli scout di Desenzano e gli studenti universitari
  • Unicef Brescia e gli altri bresciani nei giorni scorsi a Faenza
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«Il mondo sarà salvato dai ragazzini» scriveva Elsa Morante. E in effetti chi ci mette le mani, la schiena, il tempo oggi sono soprattutto loro, i ragazzi e le ragazze della Gen Z, i ventenni che da tutta Italia continuano a partire per l’Emilia Romagna per aiutare a sistemare paesi e città devastati. «Senza di loro a Faenza sarebbero rovinati» commenta Gianfranco Missaia, presidente di Unicef Brescia.

Missaia è reduce da tre giorni nella cittadina in provincia di Ravenna, che è tra le più danneggiate dall’alluvione. «L’idea è stata di Maya (Stratulea, l’ideatrice dell’iniziativa La corsa di Maya che si è tenuta dieci giorni fa in città, ndr) - puntualizza - ed è grazie alla sua energia inarrestabile che ci siamo trovati con le gambe immerse nel fango per dare una mano alla popolazione locale». Dopo questa esperienza breve ma intensa Missaia ha pochi dubbi sull’attribuzione dei meriti: «Il 90 per cento dei volontari sono giovani sotto i 30 anni, che hanno preso le pale e sono venuti qui senza essere chiamati da nessuno. Questa è la fotografia più forte che riporto a casa con me».

I ventenni in questione sono gli scout del gruppo Agesci di Desenzano e diversi studenti dell’Università degli Studi di Brescia, incontrati per caso dalla delegazione di sei persone di Unicef Brescia negli scantinati allagati di Faenza. «Mi hanno detto che erano venuti in Romagna perché sentivano il bisogno di aiutare chi stava vivendo un’emergenza come quella che loro, da Brescia ma anche da Bergamo, avevano vissuto con il Covid-19 - prosegue Missaia -. Sono situazioni molto diverse, ma per questi ragazzi l’urgenza e la necessità di darsi una mano erano simili».

Insieme, con due volontari della Croce Bianca di Brescia e altre decine di persone, il gruppo bresciano ha contribuito a liberare dalla melma case private e la scuola dell’infanzia Il Girasole: «Per svuotare una cantina ci sono voluti 85 volontari con secchi di fortuna ricavati anche da frigoriferi portatili e tre ore di lavoro - racconta Missaia -. Il problema è che l’acqua si è ritirata ma a Faenza sono rimasti 20-30 centimetri di melma, che quando si secca è molto pesante da spostare. E non ci sono abbastanza macchinari adatti: le pompe di aspiraggio del fango sono poche e le portano i volontari». Secondo il presidente di Unicef Brescia «manca un coordinamento centralizzato» nella cittadina, dove l’apporto dei volontari è quindi ancora fondamentale. Loro sono stati accolti da Emergency, che ha dato le prime indicazioni su come muoversi e qualche attrezzo a chi ne era sprovvisto.

«Per le strade si formano catene umane e ci si passa i secchi, il fango viene accumulato o nei giardini privati o a bordo strada perché non ci sono abbastanza mezzi per portarlo via. È chiaro che serve uno sforzo maggiore per uscire dall’emergenza» dice ancora Missaia.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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