Affluenza al voto: i bresciani campioni storici (e oggi in frenata)
La parola «astensionismo» non è praticamente esistita in Lombardia (né nel Bresciano) dal 1948 al 1979. L’affluenza alle urne nella nostra regione è sempre stata (e lo è tuttora) superiore alla media nazionale. Il «record negativo» fu raggiunto alla Costituente, nel 1946, quando votò «solo» il 91,2% (a Milano l’85,7%, nel complesso del Paese l’89,1%), ma già nelle combattutissime elezioni politiche del 1948 restarono a casa appena 252mila persone su 4,2 milioni (il 5,9%, per un’affluenza regionale del 94,1%).
Le tendenze del secolo scorso
La stabilizzazione del sistema politico accentuò il carattere di «rito di massa» della partecipazione elettorale, in particolare per alcune regioni, fra le quali la Lombardia: i votanti crebbero dal 95,8% del 1953 al 96,8% del 1972. Praticamente non andavano ai seggi solo le persone che erano impossibilitate a farlo. Anche a Milano (dove tradizionalmente una piccola fetta di non votanti esprimeva un «voto di protesta» o di disaffezione) si passò dal 94,1% di affluenza del 1953 al 95,7% del 1972. Livelli elevatissimi, praticamente plebiscitari. E anche la nostra provincia si è sempre mossa in piena sintonia con il resto della regione.
Negli anni Settanta, però, nonostante la battaglia fra Dc e Pci del 1976 (che mobilitò le masse a favore di uno o dell’altro partito, lasciando ai «terzi incomodi», in Lombardia, poco più del 22% dei voti), si registrò un lieve aumento della tendenza a disertare le urne: ma si trattava di piccole «scosse» (ancora nel 1979, quando i giornali nazionali scoprivano l’astensionismo, la Lombardia era a livelli record, col suo 94,9% di affluenza e il 93,4% a Milano).Poi venne la crisi della Dc del 1983, ma più in generale la tendenza ad un certo disimpegno che si fece strada negli anni Ottanta e durò fino alle politiche del 1994 (le prime della Seconda Repubblica) quando in Lombardia i votanti furono il 92% (l’88,8% a Milano). Di fronte ad una tendenza nazionale che ormai era chiara e inarrestabile, la nostra regione «resisteva» nelle tre elezioni politiche successive, quando la percentuale degli aventi diritto al voto che esercitavano il proprio diritto oscillava fra l’86,5% (2001) e l’89,1% (1996), con Milano fra l’82,4% (2001) e l’85,6% (1996).
Dagli anni 2000
La diga della tradizione e del «rito collettivo» lasciò rapidamente il passo, prima con le elezioni del 2008, poi in modo sempre più netto con quelle del 2013 e 2018, ad un crollo della partecipazione. In regione si passò dall’84,6% del 2008 al 76,8% del 2018; a Milano, dall’80,7% del 2008 al magro 73,3% del 2018. In pratica, il dato della capitale lombarda tendeva ad avvicinarsi se non a sovrapporsi con quello nazionale (che nel 2018 è stato del 72,9%).
La «diversità» della regione si è dunque attenuata, ma non è scomparsa. È probabile che - date le tendenze storiche - anche stavolta la Lombardia sia nella parte alta della classifica dell’affluenza. Ma i tempi d’oro del «rito collettivo» sono molto lontani.
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