Yara, chiave del giallo? Saliva sulla marca da bollo

È iniziato nel carcere di Bergamo l’interrogatorio di Massimo Bossetti, il muratore 44enne fermato con l’accusa di avere ucciso Yara
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È iniziato nel carcere di Bergamo l’interrogatorio di Massimo Bossetti, il muratore 44enne fermato lunedì con l’accusa di avere rapito e ucciso Yara Gambirasio. La pm Letizia Ruggeri, insieme a uomini della squadra mobile, dello Sco e del Ros, è infatti entrata nella casa circondariale di via Gleno alle 11.45. Nelle ore successive al fermo, Bossetti aveva prima negato tutto, poi si era avvalso della facoltà di non rispondere.

Intanto si apprendono nuovi dettagli relativi alla svolta nelle indagini grazie all'intuizione di una poliziotta biologa: la saliva dietro la marca da bollo di una vecchia patente di Giuseppe Benedetto Guerinoni, l’autista di Gorno che risulta il padre naturale del killer.

Lo racconta in un’intervista a Repubblica un investigatore che fa parte di un gruppo formato da Squadra mobile di Bergamo, Servizio centrale operativo, e Polizia scientifica e chiede di restare anonimo.

«Guerinoni ha fatto questo regalo alla scienza - spiega -: ha leccato una marca da bollo. La nostra intuizione è stata quella. Una nostra biologa ha capito che dietro quel francobollo c’era la chiave per arrivare alla soluzione del giallo. Una svolta che, dopo i riscontri della Scientifica e dell’Università Tor Vergata, ha convinto l’autorità giudiziaria, di intesa con la famiglia, a far riesumare la salma per prelevare altro materiale biologico». La patente come un punto di svolta ma anche tante difficoltà nelle indagini, la più grossa è stata «l’omertà». «Non ricordo un’altra indagine di polizia dove ho trovato un muro di gomma così alto e spesso su storie di corna».

Perchè Massimo Giuseppe Bossetti ancora non parla? Forse «perchè non si è ancora reso conto di come, passati quattro anni, siamo arrivati a beccarlo». Con La Stampa parla, sempre in forma anonima, un comandate dei Ros che ha seguito le indagini. «Il caso da giudiziario si era trasformato in format televisivo. Un problema», «avevamo la sensazione che ci fosse ormai un tiro al bersaglio», ci siamo imposti «di procedere solo per blocchi logici, ambiti sicuri, cercare uno schema razionale che ci aiutasse». Lo hanno trovato nello screening del Dna, «un lavoro immane che alla fine ci ha premiati». Analizzare il profilo genetico di 18 mila persone? «Non lo avremmo mai immaginato, credo che non esista un lavoro del genere al mondo»

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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