Transizione 5.0: un’opportunità per ridurre i costi energetici delle Pmi

Una micro impresa paga ancora il doppio rispetto a un’energivora. Rigotti: «Meglio l’autoproduzione»
Pannelli solari - Foto unsplash.com
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Con il Piano Transizione 5.0, il governo mira a dare un impulso significativo agli investimenti delle imprese italiane, rendendole più competitive rispetto ai nuovi scenari globali. Pochi giorni fa, in concomitanza con l’apertura della piattaforma online dove prenotare gli incentivi, il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, ha ribadito che il Piano Transizione 5.0 «sarà uno strumento di nuova politica industriale che coniuga innovazione e formazione: è il primo piano in Europa con incentivi per le due transizioni, green e digitale, insieme con la formazione dei lavoratori».

Parole a cui ieri hanno fatto eco quelle espresse dalla presidente di Cna Brescia, Eleonora Rigotti: «Il Decreto Legge 19/2024, noto come Piano Transizione 5.0 rappresenta un’importante vittoria per Cna e una grande opportunità per artigiani e Pmi» ha detto l’imprenditrice bresciana, evidenziando in particolare modo i benefici che quest’intervento del governo potrebbe portare alle piccole e medie imprese dal punto di vista energetico.

Il punto

«I costi energetici continuano ad essere una zavorra per le piccole imprese - spiega Rigotti -. Una strada per allentare questo peso è favorire l’autoproduzione da fonti rinnovabili per abbassare le bollette. Molte imprese stanno provvedendo o lo hanno già fatto in autonomia, investendo in fonti rinnovabile, ma non possono essere lasciate sole. Grazie all’avvio del Piano Transizione 5.0 - aggiunge - le Pmi potranno fruire di nuove agevolazioni fiscali per progetti di autoproduzione e risparmio energetico».

In effetti il pacchetto di «aiuti 5.0» ha un controvalare di 6,3 miliardi di euro e introduce un nuovo credito d’imposta fino al 45% dei costi di investimento per le imprese. Le agevolazioni riguardano l’acquisto di beni materiali e immateriali nuovi, tecnologicamente avanzati, che assicurano una riduzione dei consumi energetici di almeno il 3% per le strutture produttive o del 5% per i processi produttivi. Inoltre, sono incentivati i progetti di autoproduzione di energia da fonti rinnovabili e i percorsi di formazione del personale per acquisire competenze digitali ed energetiche. Per accedere a questi benefici, le imprese devono presentare una domanda tramite la piattaforma informatica dedicata, gestita dal Gse.

«Rispetto ai picchi del 2022, il peso delle bollette è diminuito ma rimane uno svantaggio competitivo per le piccole imprese che sono le più penalizzate anche in presenza di alcune misure di sostegno come la sospensione degli oneri generali di sistema nella prima parte dell’anno scorso - chiude Eleonora Rigotti -. Le imprese nella fascia di consumo fino a 20 MW l’anno hanno pagato l’energia elettrica il 14% in più della media europea (407 euro a MW contro 356 euro nell’Ue) con punte del 40% rispetto alla Francia e di quasi il 50% in confronto allo stesso livello di consumi di un’azienda spagnola. Nella classe di consumi tra 20 e 500 MW l’anno il differenziale scende al 13,5% fino ad azzerarsi per le imprese energivore (oltre 150mila MW)».

Secondo un’indagine di Cna, resta rilevante la sperequazione tra piccole imprese e quelle con consumi elevati. Una micro impresa ha pagato l’energia elettrica il doppio di una energivora (407 euro rispetto a 198) e con l’azzeramento dei sostegni nel 2024 il differenziale è destinato a tornare a livelli insostenibili. La notevole differenza riflette la struttura della bolletta che penalizza le piccole. Il costo dell’energia utilizzata da un’impresa con consumi fino a 2mila MW è inferiore al 60% del costo complessivo finale mentre per una energivora l’energia consumata rappresenta l’82,5% della bolletta. Gli oneri generali di sistema pesano per 12 miliardi di euro l’anno e circa la metà gravano sulle Pmi che finanziano in larga parte anche le agevolazioni a favore delle energivore per altri 1,2 miliardi.

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