Dal «4.0» al «5.0»: le due agevolazioni sono complementari
Non si tratta di un «aut aut», ma di un «et et». Il piano Transizione 5.0 si sviluppa infatti in un’ottica di complementarietà col piano Industria 4.0 (che peraltro tuttora «vive» e le imprese possono farvi ricorso), che anzi presuppone e di cui rappresenta l'evoluzione potenziata, in chiave digitale ed energetica. Quando, però, dalla filosofia si passa alla pratica, le cose cominciano a complicarsi e non è facile capire «come» compiere questo upgrade oggi cruciale per le imprese.
«Di sostenibilità – spiega Ugo Gecchelin, coordinatore commissione Industry 4.0 dell’Ordine Ingegneri di Brescia – si parla già nel 4.0: basta andare a vedere il Gruppo 2-Allegato A, che si riferisce espressamente a “sistemi per l'assicurazione della qualità e della sostenibilità”. Si era partiti proprio con questi concetti base, per cui punti fermi sono il funzionamento dei beni 4.0 che sono controllati dai sistemi computerizzati o gestiti attraverso opportuni sensori ed azionamenti, e i sistemi per l'interazione uomo-macchina, oltre a tutta la parte di software delle piattaforme, che peraltro è stata inizialmente agevolata in maniera esigua».
Sicurezza
«Ma ci si dimentica di un altro fattore importante, non tanto ingegneristico quanto imprenditoriale: le imprese devono sempre dimostrare di essere in regola con la sicurezza dei macchinari, degli ambienti di lavoro e il versamento dei contributi, pena il decadimento dell'agevolazione; cosa che in qualche controllo è già accaduta».
Per quanto concerne gli aspetti documentali, Gecchelin richiama la necessità per le aziende di un attestato di conformità per comprovare, non solo al momento dell’acquisto ma anche durante il funzionamento nel tempo, i requisiti di un impianto 4.0, rilasciato da un professionista, ingegnere o perito, o comunque da un ente di certificazione.
Non è semplice rendicontare l’effettivo risparmio energetico che può dare luogo agli incentivi 5.0, non misurabile direttamente poiché è una «assenza di consumo» e, come tale, esige il raffronto tra una situazione prima e una situazione dopo l'intervento, quindi ex ante ed ex post, come recita la norma. L’abbattimento dei consumi è «il risultato di due leve: dell'efficienza energetica e di quella produttiva».
Vantaggio competitivo
Un obiettivo che, tuttavia, va perseguito non solo come obbligo normativo, ma come vantaggio competitivo in grado di migliorare la redditività e la reputazione delle aziende.
Lo osserva Francesca Marini, coordinatrice commissione Energia dell’Ordine degli Ingegneri: «Entrando negli aspetti più tecnici, il meccanismo del 5.0 richiede dei passaggi logici e operativi molto chiari: oltre al tema della perizia, vi è un secondo passaggio propedeutico alla fattibilità, ossia la valutazione dell'impatto ambientale, definito come principio Dnsh (Do no significant harm). Svolte queste due verifiche, e se danno esito positivo, è possibile prendere in esame il famoso risparmio del 3% o del 5% sulla struttura produttiva o sul processo che il progetto di investimento deve garantire. Le parole chiave sono: risparmio e processo».
In altri termini, supponendo di avere ad esempio una pressa 4.0, si dovrà garantire che non solo il bene strumentale, ma l’intero processo di stampaggio produca il risparmio richiesto, includendo eventualmente anche altri asset come centraline di termoregolazione, impianti di aspirazione, robot che movimentano il materiale etc. Qualsiasi elemento venga considerato, comunque, il percorso – convengono Marini e Gecchelin – è quello di una «collaborazione trasversale fra tutti gli attori coinvolti e fra le diverse competenze, che devono offrire un servizio integrato al sistema azienda».
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