Vito Mancuso e Matteo Caccia: «La sostenibilità parte dalla parola»

La sostenibilità comincia con le parole e con il loro uso onesto e responsabile. Sia quando sono scelte per comunicare idee, sia quando vengono allineate per raccontare storie.

Sono i due percorsi seguiti da Vito Mancuso e Matteo Caccia, ospiti di Futura Expo in un dialogo sulla «sostenibilità della parola» orchestrato dalla direttrice del nostro giornale, Nunzia Vallini.

Da «parabola»

Il teologo e filosofo Mancuso risale all’origine delle parole, strumenti capaci di «creare il rapporto tra noi e le cose». «Il termine “parola” – spiega – viene da “parabola”, la traiettoria della palla di cannone verso il bersaglio. È ciò che parte da un certo punto per afferrare e illuminare la realtà. Noi siamo le nostre parole, la qualità umana del nostro essere dipende dalle cose che diciamo».

Dipende anche dalla capacità di ascolto: «La parola “responsabilità” viene dal latino “respondere”. La parola è responsabile se nasce dal silenzio, perché tutto è domanda di cura e ascolto».

Mancuso, Vallini e Caccia - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it

Storie «oneste»

Matteo Caccia è un autore, giornalista e podcaster che a Radio 24 raccoglie e racconta le storie di vita regalategli dai suoi ascoltatori. La sua scelta è di stare sempre «un passo indietro» rispetto alle vicende narrate: «È la storia a portarci con sé e a coinvolgere chi ascolta. Le storie di vita, poi, ci fanno sentire meno soli perché ci portano un pezzo di racconto del mondo». Deve trattarsi però di storie oneste: «Lo sono quando non vengono raccontate per “vendere” qualcosa di sé: allora c’è sempre un elemento di umanità che si svela».

L’onestà, tuttavia, non basta. Mancuso avverte: «Se diamo alla parola una funzione descrittiva del reale, se comunichiamo un nostro pensiero, servono anche informazione, intelligenza, idee, una visione della vita. Quanti invece raccontano solo per veicolare il loro ego? Alcune parole sono velenose, altre sono unguenti che fanno fiorire chi le dice e chi le ascolta».

I social media

Oggi non sempre i mezzi d’informazione e i social media sono campi fioriti: «Occorre saper giudicare e capire. Quando vedo poca pacatezza e capacità di creare riflessione, sento che ci si rivolge alla nostra dimensione irrazionale anziché alla mente e al cuore. Ma la parola “informazione” indica ciò che produce forma».

Responsabilità è anche quella del giornalista che deve decidere quali vicende private possono diventare pubbliche. Matteo Caccia ha scelto in passato di non raccontare una storia di vessazioni e violenze narratagli da una donna, per evitare il rischio di sovraesporla incautamente. Dopo molte discussioni in redazione, ha invece reso pubblica la storia di un ex legionario che in un Paese del centro America inseguiva e uccideva i trafficanti d’organi. Decisioni fondate su una convinzione: «Raccontare storie è un gesto politico. È il modo migliore per dare diritto di cittadinanza a un certo modo di vivere la propria vita».

Parola e silenzio, infine, per Mancuso non sono in contrasto. «È necessario il silenzio di chi riceve le nostre parole, ma anche quello da cui esse sono generate. Oggi la capacità di proferire parole è in pericolo: la nostra interiorità, da cui vengono emozioni, sentimenti e idee, è soffocata da mancanza di silenzio e concentrazione. Così le parole diventano chiacchiere».