Una montagna di soldi per gli Its, ma pochi sanno quel che fanno
Si sta aprendo una partita interessantissima: un po’ perché riguarda la scuola (la formazione) e un po’ perché - si direbbe quasi misteriosamente - stanno arrivando tanti soldi su un indirizzo scolastico sin qui negletto: ovvero gli Its, ovvero gli Istituti tecnici superiori da non confondere, ed è un primo problema, con gli Itis, che sono gli istituti tecnici quinquennali (a Brescia, e ad esempio, il Castelli).
Gli Its sono qualcosa di diverso, sono istituti biennali (ma in qualche caso anche triennali) post diploma: uno-una fa l’Itis (o liceo o altro) e poi fa i due anni mediamente di un Its. Sono una strada a metà fra l’università e il diploma appena lasciato alle spalle.
Ed hanno una loro specificità: formazione di elevato livello (quasi universitaria) ma molta applicazione pratica. Ed è un indirizzo, quello dell’Its, che praticamente assicura il lavoro... studi facendo.
Gli Its sono venuti alla ribalta in questi giorni perché a loro e per loro c’è un capitolo dedicato appositamente nel Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza che il Governo ha presentato a fine aprile a Bruxelles e dal quale ci si attendono 200 e passa miliardi in cinque anni. Di questi miliardi, 1,5 sono (saranno) destinati, per l’appunto, agli Its, ovvero a queste scuole di alta formazione, in Germania da sempre la principale fucina di personale qualificato per le imprese e da noi, come accennato, poco o nulla praticati. In Germania ogni anno sono frequentati da 800-900 mila studenti, da noi (è scritto nel Pnnr) siamo a 18.500 (con poco più di 5 mila diplomati l’anno). L’obiettivo, sempre dichiarato nel Pnnr, è di «almeno raddoppiarli». E quindi bisogna aumentare il numero dei ragazzi che si iscrivono, potenziare i laboratori con tecnologie 4.0, formare docenti perché siano in grado - leggo sempre dal Pnnr - di adattare i programmi formativi ai fabbisogni locali e, infine, sviluppare una piattaforma digitale nazionale per le offerte di lavoro rivolte agli studenti in possesso di qualifiche professionali. Sul piatto ci sono, come detto, 1500 milioni in 5 anni ovvero 300 milioni l’anno. Non male.
I fondi disponibili e soprattutto la fame di tecnici delle aziende sta riscaldando gli interessi. C’è assembramento, come si dice, attorno agli Its. Confindustria ha promosso gli Its Pop Days per far conoscere questo indirizzo scolastico che mette insieme scuola e aziende ma che sin qui non è mai decollato. Basti dire, ad esempio, che a Brescia due anni fa, è andato a vuoto il progetto di avviare un corso Its in informatica-itc perché non c’erano studenti interessati. Vero è, peraltro, che in città opera da tempo la Fondazione Machina Lonati che realizza corsi con diploma accademico professionalizzante e che a Lonato, al Cerebotani, è stato realizzato un laboratorio da 1 milione di euro ad indirizzo meccatronico.
Qualcosa c’è ma l’impressione netta è che manchi un disegno più organico e corposo. Ma, se posso esprimere una impressione, è che anzitutto agli Its manchi un’anima, a partire da un nome (Its) che ricalca e si confonde con Itis; non è un indirizzo chiaro (più d’un diplomato, meno di un laureato). E gli manca una sede, in qualche modo un posto che identifichi quella cosa lì. Serve un’operazione di rebranding, di cancellazione del vecchio con vigorosa attrattiva campagna per presentare il nuovo. Ne riparleremo.
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