Umano, non troppo umano
Due giorni fa Elon Musk ha dichiarato che le capacità dei nuovi modelli di intelligenza artificiale supereranno quelle umane entro la fine del prossimo anno, lo stesso Musk che sta portando avanti l’esperimento Neuralink e delle macchine comandate «col pensiero».
Parallelamente Mark Zuckerberg continua lungo la messianica strada del metaverso, terra promessa dove l’uomo si smaterializza e diventa altro.
Per ultimo, sebbene non sia un fatto nuovo, gira in questi giorni la notizia di aziende cinesi che, sfruttando le tecnologie (in primis l’Ia generativa), «riportano in vita» una persona defunta per far sì che questa possa dialogare con i suoi cari ancora in vita. Tutti questi esempi hanno in comune un aspetto, il non fermarsi alla corporeità e alle capacità tipiche dell’essere umano, per cercare o di potenziarlo (transumano) o di farne qualcosa di diverso (postumano).
Normalissimo di fronte a tutto ciò non provare ansia, un certo senso di inquietudine. Parimente però bisogna essere ben consci che l’umanità ha sempre cercato di superare i propri limiti, affrancandosi di volta in volta da quelli che a seconda dell’epoca, della società e del background culturale vedeva come vincoli.
«Fatti non foste a vivere come bruti ma per seguir virtute e canoscenza» recitava Odisseo nella Commedia, conferma in versi di come l’oltrepassare le Colonne d’Ercole sia sempre stato una sfida per l’Uomo. La domanda che viene da porsi ora perciò è un’altra. Siamo davvero convinti di volerci far guidare in questo percorso da chi della partita è allo stesso tempo arbitro, giudice e concorrente?
Detto ciò l’antidoto sta, manco a dirlo, ancora una colta in quelle «virtute e canoscenza» rimate da Dante, alle quali non guasterebbe aggiungere anche un po’ di coscienza. Esattamente ciò che ci rende umani, forse troppo ma mai abbastanza.
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