Dai tassi al credito bancario, il rischio climatico è parte della finanza
Forse non è proprio immediato cogliere la connessione tra fattori climatici e asset finanziari. Eppure la correlazione è strettissima e a dimostrarlo sono i dati: secondo uno studio pubblicato su Nature, i danni economici causati dal cambiamento climatico potrebbero in proiezione ammontare a 38 trilioni di dollari annualmente nel 2049, in uno scenario plausibile di emissioni di gas serra calibrato nella media.
Tali danni sono sei volte superiori al costo delle misure di mitigazione che potrebbero servire per mantenere il riscaldamento del pianeta al di sotto dei 2° C rispetto alla media preindustriale entro il 2050. Ma già ora le perdite assicurative globali dovute a catastrofi naturali sono sulla buona strada per superare i 135 miliardi di dollari. E, oltre agli aspetti finanziari, i costi vanno conteggiati in vite umane colpite e perdute. Di fatto, la Terra non sembra più uno «spazio sicuro» per l’umanità.
Il master
Se ne è parlato all’Università Cattolica in «Rischio climatico, rischio finanziario. Impatti e prospettive degli indicatori Esg», lezione aperta del master in «Rischio climatico e governance per l’ambiente. Adattamento e formazione per l’ecologia integrale» introdotta dalla direttrice Ilaria Beretta e con le conclusioni di Roberto Zoboli, delegato del Rettore per la sostenibilità.
Se la posta in gioco è così alta, viene da chiedersi come mai non si stia correndo drasticamente ai ripari. «Perché – risponde Anna Monticelli, trend analysis and applied research Intesa Sanpaolo – il costo è molto elevato. Si viene allora a creare un circolo vizioso, per cui ad investimenti minori corrisponde una diminuzione di CO2 più bassa rispetto a quella che effettivamente occorrerebbe; di conseguenza, l’impatto sul clima aumenta e la produzione diminuisce, con anche tutta una serie di effetti sul piano sociale».
Il risultato è l’ulteriore rialzo dei tassi d’interesse e dei premi assicurativi per il rischio e, di conseguenza, un ancor maggiore dispendio di capitale.
Le Pmi
Sappiamo che alle imprese, per avere accesso al credito, sarà richiesto in maniera crescente di dimostrare l’adesione ai criteri Esg. Lo sanno bene anche le piccole e medie imprese, che devono misurarsi con le sfide della sostenibilità, non solo per assolvere a princìpi di carattere etico-sociale, ma per conservare la loro competitività sul mercato. Un cambio di passo culturale non di poco conto.
Rileva Alberto Comini, responsabile Ufficio relazioni esterne e soci e referente Esg di Btl-Banca del Territorio Lombardo: «Il merito creditizio e il pricing dei finanziamenti tengono conto del rispetto delle normative Esg, anche a livello di piccola e media impresa. Ogni banca di credito ha una cabina di regia che valuta e monitora l’adesione a questi parametri».
La cosa cui guardare con attenzione è che i rischi climatici sono considerati nel processo di credito. Sui tassi d’interesse è destinato ad influire il dissesto idrogeologico, che può impattare sui mutui retail del settore immobiliare, sulla resa produttiva di aree agricole (l’agricoltura è per ragioni evidenti il settore più esposto al rischio fisico generato dai cambiamenti climatici) o industriali ed essere all’origine dell’obsolescenza di intere catene produttive. I gruppi bancari hanno inserito da tempo nei propri piani la sostenibilità ambientale, quale «antidoto» agli effetti negativi sulla stabilità del sistema finanziario.
E la chiave di volta, lo sottolinea Laura Venturi, consigliera di amministrazione con delega Esg per Bcc Garda, appare essere una, tanto per il personale interno (a tutti i livelli), quanto per gli skateholder esterni: la formazione.
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