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Scuole tecniche e lavoro 4.0: non è (ancora) roba da femmine

In minoranza schiacciante: le studentesse negli Itis sono solo il 19% del totale, tra timori e pregiudizi
Chimica è l’indirizzo più scelto dalle studentesse negli Itis
Chimica è l’indirizzo più scelto dalle studentesse negli Itis
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In minoranza schiacciante, poco adatte agli oli, alle tute blu, allo sforzo fisico. Non si immaginano volentieri fanciulle alle prese con microprocessori, pinze e macchinari. Ma davvero è ancora così, nel 2019 progressista, ormai inaugurata l’era della parità di genere e del digitale? I numeri danno da pensare: in provincia di Brescia le studentesse che frequentano gli istituti tecnici sono il 19% del totale, 2.118 su 11.435 (dati dell’Ufficio scolastico territoriale).

Perché così poche? Sugli indirizzi più industriali pesano pregiudizi decennali. «Da sempre si pensa che gli Itis siano un luogo prettamente maschile, dove ci si sporca le mani - spiega la professoressa Gigliola Lonardini, vicepreside del Pascal di Manerbio, dove è in programma la prossima tappa del tour GdB Da Vinci 4.0 (17 aprile) -. C’è ancora chi storce un po’ il naso davanti a ragazze che vogliono studiare meccanica o elettrotecnica».

È uno spaccato condiviso quello che emerge dagli altri istituti partecipanti al progetto del nostro giornale. Secondo la dirigente scolastica Simonetta Tebaldini del Castelli di Brescia, si tratta di un problema culturale: «Si crede ancora che il mondo della produzione sia come quello delle fonderie degli anni Settanta. Ma le industrie sono cambiate, ormai si fa quasi tutto in automatico». Il fatto è che certe abitudini mentali sono dure a morire: «Di questo c’è poca consapevolezza nelle famiglie - aggiunge il prof. Dario Marchetti del Marzoli di Palazzolo -. Molti genitori ritengono che non siano lavori adatti a una ragazza, troppo faticosi. Quindi spesso anche nell’orientamento alle scuole medie, gli insegnanti tendono a suggerire i licei piuttosto che i tecnici».

Morale: la percentuale femminile nelle classi di meccanica, elettronica, chimica e informatica è bassissima. Al Castelli le studentesse sono 109 su 2.044 iscritti, 76 su 1.112 al Cerebotani di Lonato, 35 su 679 quelle del Marzoli, 10 su 488 al Pascal e una soltanto su 91 nel corso di Meccanica al Primo Levi di Lumezzane.

Un altro punto su cui di solito si discute è se una disparità simile rischi di rendere in qualche modo difficile il percorso di crescita delle ragazze. «Nient’affatto, sono molto serene e rispettate» replica il prof. Fabrizio Facchinetti, vicepreside a Lonato. Certo, poi non è facile, scuole e famiglie devono aiutarle a capire cosa significa diventare donna in ogni ambito della vita, compresi quelli «a prevalenza maschile». A volte «hanno una marcia in più» sostiene Lonardini, anche perché maturano prima dei maschi: «La vera differenza sta però nella determinazione - prosegue Tebaldini -. Loro si impegnano di più e si vede anche nella scelta dopo il diploma».

La maggior parte delle ragazze prosegue infatti negli studi, con la consapevolezza che una formazione universitaria significhi anche una posizione lavorativa migliore. Il problema sembra quindi stare alla base. La fabbrica digitale dell’industria 4.0 ha davvero cambiato volto a molti mestieri e le nuove competenze tecniche (e non solo) richieste non pongono alcuna discriminante fra maschi e femmine. «Cerchiamo di spiegare durante gli orientamenti che la produzione è cambiata, è pulita e altamente tecnologica. Ma c’è ancora molta strada da fare».

 

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