Rilettura critica del Piano Calenda: pregi e difetti
Da quando è stato presentato per la prima volta a settembre 2016, il Piano Calenda (poi Piano Nazionale Industria 4.0), ha riscosso giudizi (quasi) unanimemente positivi, sia dal mondo industriale, sia da quello della ricerca. Dopo anni di politiche industriali votate perlopiù ai tagli nel sostegno alle imprese, finalmente è stato presentato un piano organico, avente l'obiettivo primario di sviluppare e supportare concretamente l'adozione del paradigma 4.0 nelle nostre aziende.
Che c’è nel piano? Super (140%) e Iper (250%) ammortamento in primis, ma non solo. Sempre in ambito fiscale, si parla poco per esempio di credito di imposta a favore delle attività di ricerca e sviluppo che, al contrario, è stato potenziato per interventi in ottica Industry 4.0, fino a coprire il 50% dei costi interni ed esterni. Inoltre, con una enfasi più di medio-lungo periodo, il piano punta a sviluppare le nuove competenze necessarie per guidare e sostenere questa rivoluzione digitale, attraverso la creazione di centri di eccellenza dedicati, dottorati di ricerca ad hoc ed altre misure ancora.
Infine, il piano non dimentica le infrastrutture abilitanti (di rete, in primis), senza le quali Industry 4.0 rischierebbe di rimanere solo un affascinante ma inutile esercizio stilistico realizzato sulla carta.
Quel che c’è di buono.
Anche considerando la recente (31 marzo) circolare congiunta di MISE e Agenzia delle entrate, emergono svariati elementi di positività.
- Il piano è specifico per il tessuto industriale italiano. Traspare molto chiaramente lo studio preliminare svolto nei mesi precedenti la sua pubblicazione, in cui si sono analizzati i modelli proposti dagli altri Paesi industrializzati e sono state sentite tutte le parti in causa, alla ricerca di una configurazione che non fosse un copia-incolla acritico del lavoro di altri.
- Il piano ha ben compreso la portata del fenomeno Industry 4.0 che non è solo una rivoluzione tecnologica e come tale va trattata. Non ha senso incentivare investimenti in tecnologia innovativa se in parallelo non si contribuisce a sviluppare nuove competenze per gestirla. In questo senso, pare ideale il mix tra misure di breve (incentivi fiscali) e di medio-lungo (competenze e infrastrutture) termine.
- Il piano non si è dimenticato di nessuna tecnologia. Anche sforzandosi, non si riesce a pensare ad ambiti che non siano almeno parzialmente inclusi in una delle 9 aree tecnologiche abilitanti proposte.
- Il piano lascia libere le imprese di decidere in che direzione orientare gli investimenti, senza dover incastrare a forza proposte progettuali in specifici bandi di finanziamento, che di fatto finiscono col decidere in che direzione innovare.
- Il piano incentiva gli investimenti in hardware, ma anche quelli in software. E, del resto, Industry 4.0 non è solo il rinnovo del parco macchine, bensì è soprattutto la gestione integrata del dato che proviene da tali macchine.
- Il piano guarda alla catena del valore, non al singolo nodo. Industry 4.0 è rivoluzione di filiera, che deve coinvolgere tutti i nodi della catena del valore, alla ricerca di sinergie super-additive.
E quel che non va...
Ovviamente, qualche elemento di negatività emerge.
- In primis, non possiamo dimenticarci del colpevole ritardo con cui questo piano è stato elaborato. Partire 4-5 anni dopo i competitor tedeschi o statunitensi certamente non aiuta le nostre imprese; inoltre, la stessa circolare dell'Agenzia delle Entrate, arrivata 3 mesi dopo la prima presentazione del piano, ha avuto sì l'effetto di chiarire (bene) i dubbi interpretativi, ma di fatto ha ritardato ulteriormente l'avvio degli investimenti.
- Non pare ottimale la scelta del doppio ente di riferimento. Di fatto se un'azienda ha un dubbio contenutistico, deve rivolgersi al MISE, mentre per quesiti di natura fiscale deve fare interpello all'Agenzia delle entrate. E questo non accelererà i tempi...
- Infine, ed è la nota più dolente, ci sono poche risorse dedicate alle misure di medio-lungo termine. Ci sono molti meno fondi del previsto per costruire le competenze digitali necessarie per pilotare le innovazioni digitali: solo 30 i milioni rispetto ai 100 promessi.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato