Polveri sottili e inquinamento: il bosco urbano per pulire l’aria
Il particolato fine derivato dall’attività industriale e dalla combustione di carburanti è un problema che incombe a livello mondiale. E Brescia, che abitualmente tra autunno e inverno supera la soglia di Pm10 prevista dai limiti di legge, non fa certo eccezione. Un aiuto determinante nella rimozione delle polveri sottili - le più pericolose per l’uomo, considerate le molteplici conseguenze sulla salute (dall’insorgenza di tumori all’apparato respiratori sino alla presunta correlazione tra inquinamento dell’aria e sviluppo di focolai da Covid-19) - potrebbe venire dalla foresta o, nel caso del tessuto cittadino, dalla piantumazione di isole «verdi» urbane.
A spiegare meglio il come e il perché è Laura Bignotti, ricercatrice bresciana al quarto anno del dottorato internazionale in Science dell’Università Cattolica di Brescia, attualmente di stanza in Belgio per sviluppare ulteriormente la sua ricerca all’università KU Leuven.
Il progetto
«Il mio progetto "Size-resolved aerosol particle deposition to European broadleaved forests" analizza gli scambi di particelle tra ecosistema forestale e atmosfera. In pratica, per cercare soluzioni in grado di mitigare i livelli di inquinamento atmosferico, studio il ruolo della vegetazione nella rimozione del particolato presente nell’aria» spiega la ricercatrice.
Lavoisier docet: se è vero che nulla si crea e nulla si distrugge, per «rimozione» in questo caso s’intende che le polveri presenti in atmosfera si depositano sulla superficie delle foglie ed è così possibile eliminarle «come quando spolveriamo gli oggetti in casa». Non volando più, non vengono respirate dall’uomo. A seconda del diametro, le particelle nell’aria possono infatti penetrare a diverse profondità dell’apparato respiratorio «per questo è interessante non limitarsi allo studio delle sole classi normate (Pm10 e Pm2.5) ma considerare un numero maggiore di classi dimensionali», ben 14 nel caso della ricercatrice bresciana, comprese tra pochi nanometri (quelle di un virus: il Sars-cov-2 misura 9-12 nm di diametro) e 10 mm.
Le campagne di misurazione sono state effettuate dal team italo-belga (supervisionato dai professori Giacomo Gerosa della Cattolica di Brescia e Bart Muys della KU Leuven) su due foreste miste decidue - la riserva naturale di Bosco Fontana, nei pressi di Mantova, e Aelmoeseneiebos nelle Fiandre - utilizzando la tecnica micro-meteorologica «eddy covariance». Monitorando la componente verticale della velocità del vento e la concentrazione di particelle tramite strumenti collocati aldisopra della foresta si riesce a quantificare il passaggio di particelle tra atmosfera e vegetazione.
I dati misurati forniscono informazioni sull’evoluzione stagionale e giornaliera dei flussi di particolato, ed è possibile trarne suggerimenti per la collocazione e lo sviluppi di future e potenziali isole verdi urbane. «Ad esempio, è emersa una forte variabilità stagionale: le classi di particolato legate alle emissioni antropiche sono deposte in modo intenso nei mesi invernali, mentre altre sostanze - come per esempio il Pm secondario che si forma in pianura a causa dell’interazione tra l’ammoniaca emessa dall’attività agricola e gli ossidi di azoto e l’anidiride solforosa derivanti dalle combustioni industriali e dei veicoli - si depositano nella stagione vegetativa» conclude la ricercatrice.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato