GdB & Futura

Nuovi capitani per nuovi mondi, ma non si insegna il rischio

Urge una next generation di imprenditori, per questo il ContaminationLab va incoraggiato e allargato
Ingegneria: da qui è partita l’idea del CLab, il ContaminationLab
Ingegneria: da qui è partita l’idea del CLab, il ContaminationLab
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«Chi può aiutare gli studenti con volontà imprenditoriale ad indirizzare le loro idee in obiettivi sostenibili e ad impatto sociale positivo? Chi può guidare l’orientamento degli studenti alle nuove opportunità lavorative attraverso molteplici iniziative? Chi, ancora, può insegnare la cultura del rischio e dell’imprenditorialità?». Nei giorni scorsi, su questo giornale, Lorenzo Maternini (co-fondatore di Talent Garden) poneva alcune domande all’interno di una riflessione sull’anno che parte, sul lascito doloroso che abbiamo alle spalle, i prossimi interventi europei a sostegno - anche ed ecco il punto - di nuove iniziative imprenditoriali avendo digitale e sostenibilità come elementi portanti.

È un piano potente, con dote extramiliardaria, in grado di portare cambiamenti importanti. Vedremo. Alla Ue si guarda quindi con aria nuova, con spirito mai così speranzoso, anche i più truci fra gli avversari adesso esibiscono la mascherina anticovid con la bandierina d’Europa. Per dire che il rischio possibile è che tutto si riduca ad una spartizione di fondi.

E invece serve, se per davvero vogliamo avere la vista lunga, tornare a guardarci attorno, a creare - per dirla con Maternini - «progetti all’interno delle comunità locali» in grado di connettere quel che accade nel mondo e in Europa con quanto possiamo fare noi, qui, a Brescia nel caso nostro. E quindi che si può fare, qui e ora? Se davvero il mondo sta imboccando nuove strade, è evidente che per navigare su quel mondo servono nuovi capitani. Persino super-Ulisse sarebbe a disagio, diciamo così, a pilotare una delle nostre barche. Ma qualcuno potrebbe dire che Ulisse era un modesto capitano? Che mancava di intraprendenza e di coraggio?

Le tecniche si possono imparare, ma l’intraprendenza e il coraggio? C’è una qualche scuola che insegni queste cose, ammesso che la cultura del rischio la si possa insegnare? Chi insegna a rischiare? Si può fare qualcosa per iniziare ad insegnare la cultura del rischio; si può fare qualcosa per far sì che ragazzi tecnologicamente attrezzati lo diventino anche quando c’è da metter su un’azienda; qualcosa che vada oltre l’essere «figli di...» e qualcosa che vada oltre le pur meravigliose officine di Lumezzane ad oggi impareggiabili esempio di fabbriche di imprenditori?

Qualcosa credo si possa fare. La sfida è raddoppiare-triplicare-decuplicare gli sforzi. Mi riferisco, in particolare, all’esperienza del Clab, lanciato la scorsa stagione dall’università di Brescia. È un posto, diciamo così, dove laureandi o neolaureati di varie provenienze si sperimentano per trovare un’idea e realizzarla in vitro. Imparano a trasformare un’idea in un prodotto, imparano a generare fatturato. Può bastare? Certo che no. Servirebbero dieci-cento CLab e quindi servirebbe un sistema industriale, economico, finanziario, istituzionale dislocato con la testa attorno ad un simile progetto. Diventare un grande incubatore di imprenditori, questa potrebbe essere una buona idea-guida per Brescia. Abbiamo l’humus perfetto, siamo già una provincia dove si respira aria di impresa da quando si nasce; abbiamo i capitali; abbiamo imprenditori che capiscono cosa significa investire; abbiamo un sistema scolastico non disprezzabile. Forse non abbiamo tutto, ma abbiamo già tanto. E quindi che ci serve? Serve partire. Non c’è mai il vento giusto per chi non sa dove andare. Ulisse voleva Itaca. Ha rischiato, ma l’ha raggiunta.

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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