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Nuova vita ai campi, grazie al fosforo dai fanghi di depurazione

Il recupero è importante, ma in Unibs si studiano le tecniche che risultano più a misura d’ambiente
L’obiettivo della ricerca di UniBs e Enea è recuperare elementi preziosi
L’obiettivo della ricerca di UniBs e Enea è recuperare elementi preziosi
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I fanghi di depurazione possono diventare una risorsa? Sì: a dimostrarlo una nuova metodologia per semplificare l’analisi di sostenibilità ambientale, messa a punto da un team dell’Università degli Studi di Brescia con Enea, nell’ambito del progetto europeo Deasphor.

Si tratta di una sorta di pre-screening dei processi di produzione che permette di ottimizzarne e ridurne l’impatto ambientale. A svilupparlo è Ario Fahimi, dottorando del programma Technology for Health, seguito dalla professoressa Elza Bontempi, docente di Fondamenti chimici delle tecnologie. «Normalmente per valutare la sostenibilità di nuovi prodotti e tecnologie si utilizza la metodologia LCA (Life Cycle Assessment, valutazione del ciclo di vita ndr), che è molto accurata ma anche molto complessa e onerosa - spiega Elza Bontempi -. È difficile da applicare quando si esaminano tecnologie emergenti, perché richiede una grande quantità di dati che di solito non sono ancora disponibili per questo tipo di tecnologie. Così abbiamo sviluppato una metodologia preliminare al LCA, che si basa sulla valutazione delle emissioni di CO2 e delle energie». Il team l’ha utilizzata per individuare le tecnologie più promettenti per il recupero del fosforo dalle ceneri dei fanghi di depurazione.

Il fosforo è infatti una risorsa limitata, essenziale per la produzione di fertilizzanti, e che però l’Europa importa quasi al 100% dall’estero (come riporta la Piattaforma italiana del fosforo gestita da Enea). Confrontando le emissioni emesse e l’energia utilizzata per estrarre il fosforo da materiale vergine (la roccia fosfatica) con quelle derivate dalle operazioni di recupero da materiale di scarto (i fanghi), il metodo mostra come la seconda opzione abbia un impatto ambientale inferiore per alcune tecnologie. «Nei prossimi decenni dovremo riuscire a recuperarlo da altre fonti - continua la docente -. Abbiamo quindi analizzato 36 tecnologie che servono a questo scopo per capire quali siano le più promettenti e le più sostenibili. E abbiamo visto che soltanto una decina rispettano i criteri».

L’idea è anche quella di incentivare così l’applicazione dei principi dell’ecodesign da parte delle imprese, cioè una progettazione basata sull’impiego efficiente di risorse e materiali che riduca l’impatto ambientale della produzione. Proprio perché il metodo UniBs (che non è sostitutivo della LCA) può essere facilmente utilizzato per progetti di ricerca e sviluppo medio-piccoli anche da parte delle aziende. Oltre al fosforo, i ricercatori dell’ateneo per il progetto europeo NEXT-LIB stanno sviluppando tecnologie alternative e analizzando alcuni modi per recuperare litio e cobalto dalle batterie, altri due metalli inseriti nella lista delle materie prime critiche. «Ci stiamo concentrando sul recupero di materiali che fra qualche decina di anni potrebbero non essere più disponibili da risorse naturali, con l’obiettivo di trovare soluzioni concrete che siano in grado anche di supportare la transizione verso l’economia circolare» conclude Bontempi.

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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