L’eco-energia ora è alla svolta, avanzano idee e competitività
Se la pandemia ha frenato i consumi di energia, ostacolato investimenti e messo in ginocchio alcuni settori, è vero anche che ha dato un ulteriore impulso a un mercato prima di nicchia: quello delle fonti rinnovabili. Lo dicono i dati raccolti nel rapporto «Renewables 2020» dell’Agenzia internazionale dell’energia, uscito a novembre scorso, che hanno rivelato un inedito primato delle rinnovabili, con 200mila megawatt di nuovi impianti.
Secondo il report, le energie rinnovabili rappresentano quasi il 90% dell’aumento della capacità di potenza totale in tutto il mondo nel 2020 e nel 2021 raggiungeranno la crescita più rapida negli ultimi sei anni (+10%). Corrono i settori del solare, dell’eolico e dell’idroelettrico, mentre frenano biocarburanti e l’uso industriale delle bioenergie. Cina e Stati Uniti, con la nuova presidenza di Biden, si preparano a investimenti ingenti, seguiti a ruota da India e Unione europea.
Ma cos’è cambiato? «I costi di produzione delle rinnovabili sono in calo da tempo - spiega Sergio Vergalli, docente di Politica economica all’Università degli Studi di Brescia e coordinatore del programma di ricerca legato ai Modelli per la Transizione Energetica della Fondazione Eni Enrico Mattei -, come risulta dalle ultime proiezioni del costo livellato dell’energia (LCOE), che rappresenta una stima economica del costo di un impianto di produzione in rapporto alla quantità di energia generata e alla durata di vita dell’impianto. E questo è già un buon incentivo. Ma soprattutto oggi ci si è resi conto che si tratta di un passaggio epocale obbligatorio».
Al contempo però, la storia mostra che nei momenti di crisi c’è sempre stato un rallentamento della richiesta di energia, con contrazioni enormi sui prezzi, specie per il petrolio, e con riduzione delle emissioni. Che però nel lungo periodo tendono ad aumentare. «Questo non impedirà il calo di consumi delle fonti fossili - prosegue Vergalli -. Si pensi solo alle azioni programmate dall’Unione europea come il sistema di scambio di quote di emissione (ETS) e la carbon tax, che generano un gettito che potrebbe essere utilizzato per sussidi green alle imprese o per ridurre il cuneo fiscale incentivando comportamenti virtuosi». E poi c’è il Green Deal, che pone sì un obiettivo molto ambizioso - impatto climatico zero nel 2050 - ma comunque realizzabile in trent’anni.
Non è solo questione di soldi però. Esistono numerosi fattori da tenere in conto quando si parla di rinnovabili. La loro adozione va sempre promossa, insiste il docente, all’interno di un piano ben strutturato: «C’è sempre una valutazione di costi e benefici da fare. Per esempio, è ovvio che ogni installazione di un nuovo impianto debba considerare il grado di saturazione del mercato in quella determinata zona. Così come molto dipende dalle tecnologie disponibili e dal luogo, visto che le rinnovabili sono fonti poco flessibili: se non c’è vento, è inutile mettere pale eoliche. O pensiamo all’idrogeno: è molto interessante, ma ha ancora costi elevati di produzione e grandi problemi di trasporto». Intanto però per l’Italia si sta per aprire una partita importante, con i fondi in arrivo del Next Generation Eu. Commenta Vergalli: «La linea green è tra gli investimenti più importanti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Bisogna capire poi come verranno gestiti i soldi dal ministero della Transizione ecologica». È compito di ogni governo far capire ai cittadini che c’è un valore altro rispetto a quello economico. E la sostenibilità ne è l’esempio».
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