Le neuroscienze e i dati mentali per un digitale a misura d’uomo
Quando si parla di digitalizzazione dei processi mentali capita che il pensiero corra a scenari orwelliani, quasi apocalittici. La realtà è che questo tipo di processo sottende sì una o più rivoluzioni ma nessuna di queste contempla orizzonti cupi, bensì porta con sé il germe di nuove opportunità. I dati sono il presente e anche il futuro.
Digitalizzare i processi mentali significa utilizzare ciò che l’uomo in quanto «macchina» produce per migliorare la vita, il business, l’approccio con l’ambiente e non solo. Non c’è da esserne intimoriti, anzi: è bene cogliere tutto ciò come un’enorme occasione di crescita e di sviluppo che le neuroscienze stanno studiando.
L’hanno sostenuto con forza anche Mario Ubiali, imprenditore fondatore di Thimus, e Cristina Zanini, direttrice generale di InnexHub e responsabile di Sviluppo d’Impresa, Europa e Innovazione di Confindustria Brescia, intervenuti in Sala Libretti per l’incontro «Digitalizzare i processi mentali: perché la neuroscienza salverà il Pianeta, gli uomini e le imprese del futuro». (Qui è possibile rivedere la registrazione integrale).
Certo è che per guardare alle neuroscienze applicate e alle sue applicazioni «occorre provare a dismettere la lente complottista - ha sottolineato Ubiali -, e cercare di giungere ad essa come a uno strumento in grado di accendere una luce sulla dinamica profonda dei processi mentali, delle emotività, degli interessi e dell’ingaggio degli esseri umani, aprendo così un orizzonte che porta a una rivoluzione di sostenibilità e di sistema».
Ma chi o cosa sta al centro di questa epocale trasformazione che fa perno sulle nuove tecnologie? Zanini non ha dubbi: «Dopo esserci interrogati a lungo abbiamo concluso che il punto focale non è il sistema produttivo e nemmeno quello economico o la crescita mondiale, bensì è l’uomo, anche nel sistema di un’economica d’impresa».
L’uomo come fulcro, mente e motore di una trasformazione digitale «che ha però bisogno di essere sviluppata tramite nuovi modelli - ha osservato Zanini -, senza i quali la rincorsa agli incentivi fiscali di questi anni rischia di creare più frustrazione che altro». Occorre quindi, prima ancora di investire, progettare nuovi schemi mentali condivisi, di filiera e partecipazione. «Brescia - secondo Ubiali -, dovrebbe superare il complesso di inferiorità culturale che la attanaglia e fare leva sulla sua diversità territoriale ed enogastronomica, dando vita al primo hub di food innovation umanistica in Italia». Le basi ci sono, le competenze anche.
La stessa Thimus, dopo aver fatto tanta strada arrivando sino a San Francisco, è stata «richiamata» nella sua Brescia ed è entrata a far parte del Club delle startup di Confindustria.
L’azienda guidata da Ubiali, «che promuove un’idea human centric - tiene a sottolineare il suo fondatore -, e mette l’etica al primo posto» dà sicuramente un valore aggiunto al Bresciano. Ma cosa fa Thimus nel concreto? Dà risposte. Un esempio: una multinazionale del food & beverage si rivolge al suo team multidisciplinare di esperti per capire se e come sia possibile portare un prodotto ad alto valore nutrizionale in un Paese del mondo in cui ancora questo prodotto non c’è.
A un campione composto da un centinaio di persone vengono quindi somministrate diverse varianti dello stesso prodotto e i partecipanti alla ricerca sottoposti ad encefalogramma. Grazie a machine learning e intelligenza artificiale i dati ricavati vengono analizzati e selezionati. Tradotto, ciò significa che in futuro ciascuna popolazione potrebbe avere una nutrizione pensata ad hoc per soddisfare le sue reali esigenze.
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