Le medie imprese hanno retto, ma si può fare di più
Il 4.0 è un’occasione, un pretesto, un'opportunità o un salvagente. Leggetelo come meglio vi pare. Ma ha il merito indubbio di aver portato il tema delle fabbriche, del manifatturiero, del made in Italy e del suo (e nostro) futuro, all’attenzione generale. Magari se ne parla troppo, ma meglio tanto che il nulla. Merito di una politica industriale (del Governo) che ha fatto una legge semplice e ricca di dote. È possibile che qualche bolla scoppi, ma forse (e so che è blasfemia il dirlo) meglio una bolla che il nulla.
Un discorso preso un po’ alla larga, solo un memo ad una opportunità che si apre, perchè c’è un disperato bisogno di aziende che crescano e creino lavoro, che facciano cose con più valore aggiunto, che compensino - almeno in parte - i posti di lavoro che si perderanno con posti più qualificati.
Paola Artioli, vice di Aib e alla guida della Aso di Ospitaletto, ieri ha introdotto il suo intervento di saluto ai lavori del DII (qui il nostro approfondimento) leggendo scampoli di un articolo (da Repubblica) di Giuseppe Travaglini. Titolo emblematico: «Dove volano le medie imprese. Le "tedesche" d’Italia sono le vere colonne del Pil». Un articolo che prende le mosse da alcuni dati di Istat e Mediobanca e dove si dimostra, analizzando i conti delle medie aziende (fra i 50 e i 499 addetti, fra i 16 e 355 milioni di fatturato) che negli ultimi dieci anni (2005-2014) hanno visto la produttività crescere (2,7%), salire il costo del lavoro (2,5%) e stimare un aumento della competitività del 2,4%. Volare - quindi - si può.
Ma c’è un problema: queste aziende sono poche e non possono reggere la crescita di un Pil che ci augureremmo (magari!) al 2%. Adesso c’è l’opportunità del 4.0 che costringe chi è forte ad avere rapporti più stretti con i fornitori. Questo è un passaggio interessante, che in qualche azienda già si sperimenta.
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