La via dell’idrogeno è già stata tracciata, serve solo volerlo
Per anni esperti e politici hanno promesso che le automobili a idrogeno sarebbero diventate l’alternativa pulita a benzina e diesel. Nella realtà, la gran parte delle case automobilistiche che aveva progetti in merito oggi li ha abbandonati. Eppure l’idrogeno è rimasto sotto i riflettori negli ambienti dove si discute di transizione energetica sostenibile. Perché questo interesse persistente? «L’idrogeno offre numerosi vantaggi, oltre che vari problemi aperti. Ha senso discuterne però solo se siamo convinti che la priorità è ridurre l’uso dei combustibili fossili - premette Costante Invernizzi, docente di Energie rinnovabili presso la facoltà di Ingegneria dell’Università di Brescia –. Bisogna provare a capire dove e come conviene utilizzarlo, analizzandone i problemi principali: produzione, infrastrutture e costi».
L’idrogeno infatti non si trova allo stato puro in natura e va sempre ricavato da acqua, gas naturale o petrolio. Il metodo più diffuso (reazione di reforming con vapore) usa idrocarburi e acqua, e produce tanta Co2. Motivo per cui l’Unione europea sta immaginando nel Green Deal un investimento tra i 320 e i 458 miliardi di euro da qui al 2030 per produrre idrogeno verde, l’unico a emissioni zero, che si ottiene con un processo di elettrolisi dell’acqua tramite energia elettrica da fonti rinnovabili.
«Secondo alcuni dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, un kg di idrogeno prodotto da gas naturale costa in media due dollari, mentre da fonti rinnovabili ne costa cinque – spiega il prof. Invernizzi –. È possibile però che, con tecnologie migliori e l’aumento della capacità produttiva, il prezzo cali. I progetti in corso dimostrano un interesse forte verso l’idrogeno: i treni di Alstom per il Nord Italia, l’accordo tra A2a ed Ardian, la stazione di distribuzione dell’idrogeno ad alta pressione in Europa di Air Liquide. Il punto è capire in quali settori può fare la differenza».
Trasporti pesanti, industria, settore residenziale, servizi commerciali: sono questi gli ambiti dove il consumo di energia è maggiore e dove quindi l’idrogeno potrebbe rivelarsi un valido sostituto green. I trasporti, soprattutto, che dipendono molto dai combustibili fossili. Anche il teleriscaldamento? «Non credo– dice il docente –, perché siamo già attrezzati per sfruttare rifiuti e biomasse con l’uso diffuso delle reti di teleriscaldamento». Lo stoccaggio. Urgente, se mai, è trovare un modo più efficace di distribuzione: ora l’idrogeno viene accumulato in bombole da 700 bar e la sua versione liquefatta in serbatoi criogenici presenta molti problemi.
«Negli Usa esistono pipeline di varie migliaia di chilometri che riforniscono con successo le industrie – prosegue Invernizzi –. Anche la Germania sta ideando qualcosa di simile con l’ambizioso progetto Get H2 Nukleus». Ma se immaginiamo un futuro ecosostenibile, l’idrogeno può risultare cruciale in un’operazione ancora più specifica. «Più utilizzeremo fonti rinnovabili, più avremo necessità di accumulare l’energia prodotta in eccesso – conferma il prof. Invernizzi –. È possibile immagazzinarla sottoforma di idrogeno. L’idrogeno potrebbe anche essere miscelato con gas naturale e distribuito nelle reti tradizionali».
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