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La linea a 7robot della Buffoli Transfer in Germania

Un sistema avanzato milionario. Automazione spinta. «Se vogliamo per l’Italia c’è un futuro»
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Il "mostro" se ne sta lì nel bel mezzo del capannone. Ultimi interventi sul pezzo da 90, come si dice, della Buffoli Transfer di via Stretta, nord città (90 addetti, 20 milioni il valore della produzione) . E' una linea automatizzata composta da una macchina transfer e da 7 robot, destinata ad una multinazionale tedesca. Il nome lo so, ma c'è l'impegno a non scriverlo. Ma credetemi sulla parola: è una delle aziende più avanzate quando si parla di 4.0. E, per le sue ultime linee di produzione automatizzate, è venuta alla Buffoli. Beh, converrete con me che è una storia positivamente inconsueta.

Siamo bravi. Anzi, e per dirla tutta e meglio: forse meno inconsueta di quanto si immagini perché gli italiani sono bravi a costruire quelle che una volta erano macchine utensili e che oggi sono veri e propri impianti di produzione; siamo fra i migliori al mondo, ma spesso ce ne dimentichiamo. Anche questo andrebbe ricordato quando ci chiediamo se sia mai possibile una "via italiana al 4.0".

3,5 secondi per pezzo. Rinverdito l'assopito orgoglio nazionale, torniamo alla macchina Buffoli coi suoi 7 robot. Anche qui c'è una storia nella storia. Partiamo dalla macchina, meglio dalla linea di produzione che lavora testate in alluminio a partire da pezzi grezzi pressofusi. Si tratta di una linea che depallettizza i pezzi grezzi, li lavora e li ripallettizza; li prende da casse di legno, li spacchetta, li orienta opportunamente, li lavora e li rimette in ordine in contenitori di plastica. Un pezzo in tre secondi e mezzo e possono essere lavorati articoli da 32 a 80 mm; mandrini ad alta velocità; controllo digitale 4.0 di progettazione Buffoli; sistema aperto alla rete e al cloud grazie alla connessione Ethernet del computer di supervisione; i 7 robot citati che servono la macchina di lavorazione collegati via ProfiNet, un protocollo aperto di cui Buffoli è prima utilizzatrice e referente per Siemens. Massimo errore ammesso: 1 pezzo su 1 milione. Prezzo? Alcuni milioni.

Investimenti e innovazione. «Sarà questo che ci salverà», dice Francesco Buffoli, vicepresidente dell'azienda fondata dal padre nel 1958 e che oggi guida con il fratello-presidente, Edoardo. I cinesi ci hanno attaccato nelle fasce basse del mercato, ma nella moda, nel design e nella meccanica di precisione ci siamo difesi. Pur se ridimensionati nella quantità - osserva Buffoli - l'industria italiana ha mantenuto tre importanti indicatori di vitalità e forza competitiva: un'alta propensione a innovare, pari o seconda solo alle imprese tedesche; l'elevato tasso di investimento (doppio di quello tedesco e francese) e la seconda posizione al Mondo per complessità di export (primi i tedeschi). Perché ricordare questi primati? «Perché smentiscono il luogo comune circa la fiacchezza dello spirito imprenditoriale italiano e formano - conclude Francesco Buffoli - solide basi per far ripartire lo sviluppo. Purché lo si voglia».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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