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Il segreto di Pontremoli: «impara, guadagna, restituisci»

Ex numero uno di Ibm, oggi è amministratore delegato e direttore generale di Dallara Automobili
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Andrea Pontremoli, amministratore delegato e direttore generale di Dallara Automobili, è uno di quegli uomini che quando li incontri lasciano il segno, perché il loro pragmatismo ben si armonizza con il coraggio e l'attenzione a tutto ciò che li circonda, cosa decisamente non scontata ai giorni nostri. Se poi lo incontri proprio all'Olivetti Day, il convegno annuale che Superpartes organizza nel nome dell'imprenditore Adriano Olivetti, Pontremoli si fa notare ancora di più perché il suo modo di ragionare ed agire ancor meglio si sposa con il pensiero olivettiano, soprattutto se traslato ai tempi moderni. Ne abbiamo approfittato per fargli alcune domande. Ne esce uno spaccato decisamente interessante, con l’indicazione di quel che può fare un territorio per far crescere le aziende. Buoni esempi da copiare. Partiamo.

Perché ha lasciato, anni fa, la carica da presidente e amministratore delegato di Ibm Italia per passare alla Dallara.
«Io sono di quelle zone, dell'Appennino parmense, e mi piaceva l'idea di tornare a lavorare a casa mia, e di restituire al territorio un po' della mia esperienza, secondo il motto americano "learn, earn and serve", ossia "impara, guadagna e restituisci". Certo, in questa dinamica del restituire, assolutamente fondamentale è stato il fatto di poter lavorare con una persona come l'ingegnere Gianpaolo Dallara, che ha lo stesso mio modo di intendere l'impresa"».

Vale a dire?
«Vale a dire, valorizzando al massimo il legame con il territorio in cui si trova l'azienda, in modo tale che possa continuare anche quando lui non ci sarà più. È un concetto di sostenibilità nel tempo che è imprescindibile perché non c'è nessuna azienda che può pensare di essere competitiva se non lo è il territorio in cui è radicata. Si tratta di un principio che è sempre stato vero ma oggi, con la velocità dirompente che caratterizza tutto il mondo del fare business, lo è ancora di più: un territorio va preservato e aiutato a crescere, così come i dipendenti, che più che sottoposti devono essere considerati dei collaboratori, nel senso di persone che collaborano con noi ad un disegno più grande, che va oltre la loro stessa esistenza».

E la Dallara Automobili cosa fa per tradurre in realtà tutto questo?
«Direi che la manifestazione più evidente di questo modo di pensare la si vede nell'attenzione che ha per la formazione dei giovani, e la Dallara Academy e il Muner (acronimo per Motorvehicle University of Emilia Romagna, ndr) ne sono la dimostrazione. L'idea, in sostanza, è quella di curare e far crescere al meglio i giovani promettenti che hanno la nostra stessa passione per i motori. Italiani e non. E vi assicuro che nel mondo sono assolutamente entusiasti del progetto».

Ce lo racconti allora.
«In pratica abbiamo realizzato un percorso di laboratori didattici che inizia dai 12 anni, dalla seconda media in avanti, in cui i ragazzi hanno la possibilità di fare una serie di esperimenti di fisica e aerodinamica per capire sin da piccoli se hanno la passione per la velocità e le auto. In Italia gli studenti vengono orientati troppo tardi, e questo può essere un problema. Con l'Academy lavoriamo anche con gli istituti tecnici, con i quali collaboriamo anche per "piegare" i programmi ai bisogni produttivi del territorio. Nella stessa logica abbiamo innestato in questo percorso anche un Its post diploma su materie specifiche, dalla fibra di carbonio sino alle macchine a controllo numerico: di solito questi ragazzi - e parliamo di circa 250 all'anno - il giorno dopo aver finito gli studi hanno già un lavoro».

Quindi il Muner chiude il cerchio.
«Esatto. Insieme alla Regione, le 4 università dell'Emilia-Romagna e le 9 aziende automotive più prestigiose con sede nel territorio - da Lamborghini a Ducati, Ferrari, Magneti Marelli e Maserati, per citare solo le più famose - abbiamo definito 6 profili di ingegneri che oggi non esistono e abbiamo messo a disposizione della loro formazione sia i professori che i nostri strumenti. Sono nate così due lauree magistrali e 6 diversi percorsi di specializzazione. L'ultimo step è stata la creazione, insieme all'Università di Bologna, di un master per la formazione manageriale del comparto automotive: siamo partiti proprio poche settimane fa e abbiamo studenti provenienti da tutto il mondo, tanto è vero che solo il 30% è italiano. La dimostrazione di come si possa competere sul mercato globale e al tempo stesso cooperare con il territorio».

Che ruolo giocano tecnologia e innovazione in questo scenario?
«Diciamo che a fare la differenza non è tanto la tecnologia in sè ma come viene utilizzata. Dico sempre che la cosa più importante per fare innovazione non è cercare di capire la tecnologia ma cercare di dire quello che davvero si vuole fare, perché oggi la tecnologia per farlo probabilmente c'è o arriverà. È un cambio di mentalità, di modo di ragionare: dobbiamo passare dal concetto del capire al concetto di comprendere, dal latino cum-prendere, prendere insieme agli altri. Solo così si va davvero avanti, perché solo essendo aperti e facendo degli errori si può essere innovativi. L'essere conservativo è quanto più di lontano esista dall'innovazione. Se invece si è aperti a nuove strade, si può sbagliare e si possono allargare gli orizzonti».

E in Dallara lo avete recepito?
«Assolutamente. Noi lo facciamo, e infatti per innovare usiamo molto i simulatori di guida: il simulatore è nei fatti un sistema per fare errori, un sistema nel quale si guidano dei modelli matematici e non un prototipo. Con tutto quello che ne consegue».

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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