Il lavoro non scompare ma cambia (come sempre)
Il cubo tutto vetri dove ha sede la filiale bresciana di InJob, agenzia per il lavoro creata da un gruppo di imprenditori veronesi, capitanati da Carlo De Paoli - la casa madre è infatti a Verona - con circa venticinque filiali tra l'Italia e l'estero, è avveniristica quanto la chiacchierata che ci apprestiamo a fare con Chiara Bonardi, che della sede bresciana è la responsabile.
Il core business di InJob è la selezione del personale, ma accanto a questo ci sono anche le attività di formazione e counselling (attività di sostegno per capire e far capire le potenzialità di una persona) per le risorse interne alle aziende. Tutto ruota attorno a quel che significa, per chi cerca lavoro e per chi lo offre, lavoratori e imprese, stare nell'epoca 4.0. E con una serie di puntate ospitate in queste pagine, stiamo andando da chi si occupa di selezione del personale, per cercare di capire come si sta muovendo il mercato del lavoro al tempo del 4.0, andando un po’ oltre quelle che chiamiamo le tecnologie cosiddette abilitanti, gli algoritmi, i big data e via elencando.
L'avvento del digitale sta davvero mettendo un punto e a capo su certe professioni e facendo sparire posti di lavoro? Oppure è il lasciapassare per nuove prospettive? «Certo, magari alcuni lavori tradizionali non ci saranno più per come li abbiamo conosciuti. Ma l'ingresso del digitale ha portato valore aggiunto in tanti ambiti, creando nuove professioni che prima non c'erano o non erano ancora diffuse in Italia e nuove opportunità legate a specializzazioni altamente qualificate», è l'esordio di Bonardi.
Nuove leggi, nuovi mestieri. E tra le professioni emergenti, aggiunge la Bonardi per fare un esempio pratico, il data protection officer, che in un'impresa si occupa appunto della protezione dei dati personali. A dare un impulso, in questo caso, ci spiega la responsabile della filiale bresciana di InJob, è stato il nuovo regolamento generale europeo sulla privacy, pubblicato sulla Gazzetta Ue nel maggio del 2016.
Il data protection officer, già presente storicamente in alcune legislazioni europee, deve avere competenze giuridiche, informatiche, di risk management e di analisi dei processi. «Secondo alcune statistiche, il 15% delle aziende ha introdotto questo ruolo, il 3% si avvale di collaboratori esterni e il 50% sta ragionando sulla eventuale introduzione di questa figura», spiega la Bonardi. Chi li ha se li tiene... E così pure quando si parla di information technology e di tutto l'ambito dell'automazione e produzione industriale e della logistica, progettisti meccanici ed elettronici, programmatori, designer, softweristi, sistemisti, project manager, big data analyst, sono sempre più ricercati.
«Proprio perché queste ultime sono professioni molto ricercate e spesso le aziende si tengono stretti questi specialisti, con buoni contratti, questi ultimi, da quel che possiamo vedere dal nostro osservatorio, cambiano azienda solo se ci sono buone prospettive di miglioramento professionale nel 70% dei casi, di crescita economica nel 64% e se vedono in chi li ingaggia una visione strategica a lungo termine nel 52% dei casi», aggiunge la Bonardi.
C'è poi tutta la nicchia delle web agency e del marketing declinato nel 4.0. E qui emergono figure, prosegue la Bonardi, come il brand manager, colui che si occupa in concreto del marchio e del suo appeal tout court, il business analyst, cui spetta il compito di monitorare l'andamento del prodotto e come risponde alle esigenze del consumatore, contribuendo alla preparazione del business plan per identificare le eventuali aree di miglioramento. Quel che è certo, insomma, è che oggi saper parlare il linguaggio digitale è condizione essenziale - una sorta di prerequisito - per farsi ascoltare dal mondo del lavoro. Nelle vecchie professioni e in quelle nuove.
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