«II lavoro? Per due studenti su tre arriva prima del diploma»
Le fabbriche sono cambiate e sono destinate a trasformarsi ancora di più con l’avvento pervasivo delle tecnologie. Studiare ora in un istituto tecnico significa doversi confrontare con questi scenari, ma sembra che ancora sopravviva un’idea ben diversa. «Ho la sensazione che tante famiglie si immaginino ancora la fabbrica come un luogo buio, grigio, persino insalubre - afferma Mauro Zoli, dirigente scolastico del Primo Levi di Sarezzo, al quale fa riferimento anche l’Itis di Lumezzane con indirizzo di Meccanica e meccatronica -. Non si ha idea di quanto queste realtà si siano invece evolute e di come il lavoro non sia certo quello di fine ’800».
Questo come si riflette sull’istituzione scolastica?
«Basta guardare i nostri numeri per avere una risposta. Al tecnico di Lumezzane, indirizzo che dal 2011 afferisce a Sarezzo, abbiamo circa 60 studenti e riusciamo a formare una sola classe all’anno. Medesimi problemi li abbiamo nella sede principale con il corso di Costruzioni, ambiente e territorio. In questo caso il calo di iscrizioni è stato dettato principalmente dalla crisi del settore imprenditoriale edilizio post 2008».
Gli ultimi dati dicono però che c’è stata una crescita di domande per gli istituti tecnici.
«In Lombardia e a Brescia ciò è assolutamente vero e frutto anche di un grande lavoro fatto sui territori. Noi per esempio collaboriamo fattivamente con l’Associazione Industriale Bresciana, ai fini di orientare nel miglior modo possibile studenti e futuri alunni. Nel resto del Paese però lo scenario è ben differente, con grande carenza di figure tecniche specializzate. Tale difficoltà è molto forte anche qui, ma per problemi di diversa natura».
Si spieghi.
«Il nostro tessuto produttivo è vivo e in espansione e le difficoltà nel reperire questi lavoratori stanno molto semplicemente nel quantum numerico. Formiamo diversi giovani in tutta la provincia, ma alle imprese non bastano. In Italia invece sono pochi proprio coloro che escono dagli istituti tecnici perché poche sono le iscrizioni».
Qui ci si ricollega alla visione della fabbrica della quale ha parlato prima.
«Esattamente. Tra l’altro basterebbe entrare in una delle moderne aziende che operano attualmente per cambiare drasticamente e rapidamente idea. Io stesso sono rimasto stupito. Prima servivano 30 persone per far funzionare un reparto, ora ne bastano due su una piattaforma che interagiscono con robot, macchine a controllo numerico e software».
La figura dell’operaio è quindi cambiata?
«Direi che è evidente e con il 4.0 la trasformazione sarà ancora più radicale. Scegliere di frequentare un istituto tecnico è un solido investimento per il futuro».
Per quale, anzi, quali motivi?
«La crescita personale è ben diversa rispetto a quella del passato, ora le aziende investono tantissimo in formazione continua e interna. Inoltre, qualora un ragazzo decidesse di proseguire gli studi e andare all’università, si trova con un bagaglio di competenze e di strumenti di primissimo piano e ciò è confermato dagli ottimi risultati che i nostri studenti ottengono negli atenei. Ma tornando al diplomato che decide di andare subito a lavorare, c’è un altro elemento che reputo importante e che vale la pena sottolineare: la remunerazione. Un quadro intermedio ha un riconoscimento economico di tutto rispetto, in grado di garantire una vita decisamente decorosa».
In più trovare un posto di lavoro non è difficile vista la richiesta.
«Un dato su tutti lo conferma. Circa due terzi dei nostri studenti al momento dell’esame di maturità hanno già un’idea di dove andrà a lavorare. Questo perché le aziende, specialmente in un territorio come Lumezzane, sono estremamente attente e vicine agli istituti».
Cosa cercano le imprese dai ragazzi?
«Va da sé che quando si hanno diciotto anni e ci si affaccia per la prima volta ad un contesto di fabbrica non si può conoscere il modus operandi. Infatti, oltre alle competenze di base, per le aziende è fondamentale trovare nei ragazzi voglia di imparare e di mettersi in gioco, investendo nelle proprie capacità. A Lumezzane è vivo più che mai un modo di intendere la fabbrica come un luogo dove tutti collaborano e si mettono insieme per progredire sempre più».
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