Guerra, pace e tecnologia

Le zanzare sono da sempre un fastidio, a volte un vero e proprio pericolo, che accomuna tutte le epoche. Una svolta in questa lotta tra uomo e natura si ebbe nel 1946, quando fece la sua prima comparsa la N,N-dietil-m-toluammide (il DEET). Si tratta di una delle più potenti sostanze repellenti mai create e venne sviluppata per i militari degli Stati Uniti, principalmente dispiegati nel Sud Est asiatico. La «fama» la ottenne durante la guerra del Vietnam ma il suo uso è ora comune, essendo presente in molti prodotti liberamente in commercio.
Questo piccolo aneddoto restituisce un’istantanea dello strettissimo rapporto che sussiste tra tecnologie militari e civili, con le prime, alla luce principalmente dell’enorme quantità di denaro investito, che spesso hanno fatto da precorritrici delle seconde. Gli esempi in questo senso si sprecano, dalla rete Arpanet progenitrice di Internet, al nucleare fino all’utilizzo diffuso di materiali quali l’alluminio o il kevlar, ma in qualche modo il rapporto si sta bilanciando.
La guerra in Ucraina ci ha mostrato come piccoli droni commerciali possano diventare armi in grado di spostare gli equilibri su un campo di battaglia, come i satelliti e con essi i social network siano fondamentali in scenari di guerra ibrida. Si parla inoltre sempre più di tecnologie duali, dove lo sviluppo militare delle stesse si accompagna a quello civile, con vantaggi - e la discriminante morale sta proprio nella definizione di cosa sia un vantaggio - per entrambe le parti.
Le frontiere sono ora, tra le altre, l’intelligenza artificiale, la cybersecurity ma anche forme di propulsione innovative (motori ipersonici) o le nanotecnologie. E se in un periodo come quello attuale parlare di guerra è quanto mai complicato, soprattutto sotto un profilo di umanità, sarebbe ipocrita e persino sbagliato ignorare che questa, almeno dal punto di vista tecnologico, non sia in costante dialogo con il mondo civile.
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