La rana, il geco e dello scotch: il grafene narrato da chi lo scoprì

Quella della grafene è una storia della quale fanno parte anche una rana, un geco e dello scotch, insieme alla volontà di percorrere strade senza sapere bene dove queste possano portare.
Per raccontare come si è arrivati a uno dei materiali più importanti per la moderna industria e per la scienza, sul palco della Future Arena è salito direttamente il suo scopritore, il fisico russo naturalizzato olandese Andre Geim. Professore all’Università di Manchester, Geim nel 2010 è stato insignito insieme a Konstantin Novoselov del Premio Nobel per la fisica proprio per i suoi studi sui comportamenti del grafene (ma anche su altri materiali in 2D), la cui struttura i due scienziati hanno isolato e descritto nel 2004.
Acqua magnetica
«Quando ottieni un riconoscimento tutti ti chiedono come hai fatto e perché te l’hanno consegnato - ha esordito -. Sul come posso dire che tutto nasce da una camminata, che stavo facendo per provare a pensare qualcosa che andasse un po’ fuori dai miei studi di allora (siamo nel 1995 ndr). Mi è venuta così in mente l’acqua magnetica cioè il liquido che, sottoposto a un campo magnetico, ha caratteristiche fisico-chimiche modificate».
Il diamagnetismo, questo tipo di comportamento che nell’acqua di Geim ha portato alla formazione «di una palla d‘acqua levitante, è proprio e non trascurabile per tutto ciò che esiste».
Qui entra in gioco la rana, anch’essa sottoposta in laboratorio a un campo in modo da dimostrare tale interazione magnetica. Ora è la volta dell'ingresso in scena del geco e della sua capacità, tramite speciali lamelle poste sulle zampe, di risalire pareti lisce come i vetri. «Ciò non avviene tramite sostanze viscose ma grazie alla forza che agisce tra le lamelle e le superfici» ha spiegato il fisico, invitato dall’Istituto I.s.e.o. e introdotto dal docente dell’Università di Brescia Paolo Bergese. Partendo da questa proprietà venne creato uno scotch capace di imitarne il comportamento.
«Lo utilizzammo per asportare un sottilissimo strato di grafite, un composto del carbonio molto stabile (quello della mina delle matite ndr) - ha detto Geim -. Vedemmo che questo “fiocco” aveva una sua composizione specifica, in larghezza e lunghezza ma non in altezza». Ecco quindi il grafene, materiale in due dimensioni «ricreabile solo in laboratorio dato che la Natura è in 3D».
Cos’è e dove si usa
Semplificando si tratta di un foglio di atomi di carbonio disposti a formare un reticolo esagonale, «una struttura che gli permette di essere fondamentale per tantissimi utilizzi» ha sottolineato Geim. Leggerissimo, resistente, flessibile, è anche un grandissimo conduttore, sfruttando un comportamento degli elettroni (scoperto proprio dal fisico russo-olandese) e il fenomeno del Klein tunneling.
Le sue applicazioni sono numerosissime, dai microchip più veloci di quelli di silicio a sensori, batterie agli ioni di litio, nanocompositi, per desalinizzare l’acqua del mare o sequenziare frammenti di Dna. Ma anche in sci, racchette, scarpe, pitture, led, nell’asfalto, «è stato sperimentato lungo un tratto dell’autostrada A4 Brescia-Milano» ha rivelato Geim, «ed è ora prodotto a livello industriale a prezzi bassi. Può anche funzionare come la pietra filosofale: liquefacendo i chip in acqua regia e filtrandola con del grafene, si può estrarre l’oro contenuto nei componenti elettronici».
Ma dopo aver scoperto la pietra filosofale, cosa può volere ancora uno scienziato? «Voglio capire cosa succede in quello strato di grafite rimasto vuoto dopo aver estratto il grafene, come si comportano liquidi, gas o materia». Perché forse il segreto per sapere cambiare il mondo sta nel guardare dove gli altri non vedono nulla.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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