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Futuro da brividi: i nostri sogni su una chiavetta Usb

Alberto Rovetta, docente al Politecnico di Milano, antesignano della robotica avanzata
Bresciano.  Alberto Rovetta, ex Arnaldo, docente al PoliMi, un riferimento per la robotica avanzata
Bresciano. Alberto Rovetta, ex Arnaldo, docente al PoliMi, un riferimento per la robotica avanzata
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L’ultima volta che l'avevamo incontrato si occupava di umani, vent'anni più tardi si occupa addirittura del dopo, il post umano. Non sa star fermo Alberto Rovetta, ex studente dell'Arnaldo, docente al Politecnico di Milano di meccanica dei robot: per migliorare la didattica cardiologica, su un'idea di Pharmacia & Upjohn, nel 1996 aveva realizzato Michelangelo, il robot - alto come un uomo, con la pelle simile a quella delle bambole più belle - in grado di simulare le patologie cardiache dal momento in cui insorgono fino all'ultimo istante, quando il tutum tutum del cuore decide di non farsi sentire più e, lo giuriamo, quel giorno del 1996 a Milano il cronista un attimo rimase disturbato, rifiutando un cortese replay delle performance del manichino che il professore voleva nuovamente mettere a disposizione.

Michelangelo, con gli affinamenti che i vent'anni trascorsi hanno reso possibili, continua a fare il suo dovere ed Alberto Rovetta ha potuto occuparsi d'altro, qualcosa di nuovo che, in occasione di un incontro promosso dall'Accademia Cattolica, ha anticipato proprio a Brescia: la possibilità, in un futuro neppure troppo remoto, di mettere per esempio su una pen drive (la chiavetta usb) la memoria di una persona, piuttosto che i suoi sentimenti o i suoi progetti inespressi.

Futuro da brividi (piacevoli, ma pur sempre brividi) a pensarci bene, ma anche futuro entusiasmante che, naturalmente, non arriva per caso e non fa altro che seguire altre memorie come il riconoscimento vocale, piuttosto che nuove tecnologie, che, in base a parametri come le impronte digitali o l'occhio, o altri dati relativi alla biometria, hanno messo in sicurezza privacy, porta di casa, accesso al posto di lavoro o all'auto, piuttosto che la corretta identità sul nostro passaporto.

Insomma, se è possibile che un'auto vada qua e là da sola, o se è possibile archiviare impronte digitali o altre caratteristiche biometriche, prima o poi sarà possibile metter da parte anche sentimenti, memoria e idee irrealizzate «esaltazione - dice il professore - di quella capacità di raccogliere dati che è alla base dell'industria 4.0 che, sempre meglio, stiamo perfezionando e che è il risultato del lavoro della scienza applicata trasformata in produzione.

Professore: in parole semplici cosa è l'industria 4.0, cosa seguirà e dove ci porterà?
«Industria 4.0 è un'espressione che definisce le attese, le possibilità e le realizzazioni che in questi ultimi anni stanno coinvolgendo l’industria, ma non solo, dal punto di vista organizzatizo, della consocenza e della tecnica. Anche la comunicazione e l'informazione si sono strutturate ed adeguate per favorire al meglio lo sviluppo industriale. Nelle prime fasi, in Italia, si è puntato quasi ad attuare ammodernamenti e sostituzione di macchinari, e tuttavia la precisa e sicura attivazione in tutto il mondo di nuovi modelli e uso di processi integrati tra tecniche e conoscenze diverse, ha imposto l'aggiornamento».

E adesso?
«L'aggiornamento sta diventando una corsa parallela di industrie dello stesso gruppo in Paesi una volta solo lontanamente collegati. Le industrie solide e stabilizzate producono infatti con processi nuovi (si veda la Germania, e l'Europa del Paesi più avanzati industrialmente) accettando e cercando la competizione in tutto il mondo: raramente si produce innovazione creativa, molto più spesso si sviluppano processi più economici e con una migliore qualità. Altri Paesi, e per ora solo la Cina, hanno impostato una crescita a partire dai massimi livelli: ad esempio, in Cina, la robotica non ha eseguito il tradizionale percorso di crescita, ma negli ultimi tre anni ha inserito 300.000 robot nelle linee di produzione (e non si è parlato di perdita di posti di lavoro). In conclusione, l'industria sta seguendo il suo processo naturale, con uno spirito positivo e non teso da condizioni psicologiche critiche di disoccupazione, conseguente alla robotica».

E il post umano?
«Il post- umano non è prevedibile, la adattabilità intelligente ed addirittura cooperativa sta divenendo una condizione ottimale pure per la produzione industriale, anche perché un eventuale conflitto industriale danneggerebbe solo i protagonisti. Personalmente condivido l'analisi logica e economica, storica e culturale, di Pinker, secondo cui "quella che stiamo vivendo è probabilmente l'epoca più pacifica della storia" con il declino della violenza. La rivoluzione informatica e della comunicazione va verso una emozionalità condivisa a livello planetario, in fondo, rende tutti compartecipi di ogni evoluzione sociale , economica e morale».

Lei parla di condivisione e compartecipazione. Temi e obiettivi non sempre facilmente raggiungibili.
«Da soli non si va da nessuna parte. Serve integrazione, occorre fare rete e la Valle Trompia ne è stato un esempio già trent'anni fa, quando si trattò di realizzare, con il coinvolgimento di imprese di cinque paesi del distretto, la prima protesi meccatronica di un arto inferiore con microprocessori e sensori a controllo biorobotico. Per arrivare a questo era stato però necessario accantonare individualismi e mettere invece in campo quella cultura del… se si vuole… si fa, anche se il fare oggi è in mano sempre più ai robot, con l'uomo loro guardiano».

Ed allora forse è giunto il tempo di rileggere (e riscrivere?) le leggi della robotica di Asimov, perché quel che valeva nel 1942 con il «Circolo vizioso» (il racconto di Asimov ambientato su Mercurio, dove Greg e Mike devono vedersela con il robot impazzito) 76 anni dopo forse non vale più, con la macchina vittima dell'intelligenza artificiale, della capacità di calcolo straordinariamente più potente che muovono macchine che si devono confrontare con eventi casuali, che non possono esser previsti e che sono lontane anni luce dalle tre leggi della robotica.

Un esempio? Guardiamo all'auto senza conducente il cui software/cervello è chiamato a valutare se salvare un passante, il passeggero dell'auto o la carrozzeria: un software ubbidiente alle tre leggi non sarebbe in grado di decidere; così come non lo sarebbe un robot che, mosso da un programma nella cui memoria c'erano le idee malvagie dell'inventore, potrebbe girare per le città combinando guai e neppure lo sarebbe l'automa chiamato ad assistere un paziente che rifiuta farmaci e cure. Cose di domani? Certo, anche se è il domani ormai dietro l'angolo.

 

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