Futura Expo, una buona medicina per un mondo in confusione

C’è un gran casino sotto i cieli del mondo. Il compagno Mao ne sarebbe contento, noi – credo di poter dire – un po’ meno. Son tempi dove parlare di futuro appare esercizio estetico, quasi snobistico. Eppur si deve. Anzi: forse è proprio in questi momenti scoraggianti e poco inclini alla speranza di un domani più sereno che di futuro abbiamo bisogno.
Da questo punto di vista, Futura Expo è quasi un tonico. Consola sapere che c’è chi crede ad un domani possibile, conforta vedere che c’è tanta gente – tante imprese – che dicono che un domani solido è possibile, persino migliore dell’oggi. C’è tanta gente che, grazie a dio, pensa che il mondo non finirà e che, quindi, è bene, utile e opportuno prepararsi.
Futura Expo a questo intende rispondere: una iniezione di fiducia nel domani da trasmettere ad imprese e a tutti noi. Un modo per dire che «sì, le cose si possono fare e alcune le stiamo facendo, venite signori e toccate con mano». Una fiera, una piazza, una medicina.
Sì, le cose si possono fare. E quindi, scendendo a terra, quel che non inopportunamente è stato definito l’evento dell’orgoglio bresciano è andato in scena. Il primo successo è stato realizzarlo per la terza volta. L’idea di un sistema di imprese che si muove insieme per far sapere quel che si sta facendo in chiave ambientale non è scontata. Pareva un azzardo qualche anno fa e invece si va avanti. Sì, le cose si possono fare.
Un secondo riscontro è dato dall’afflusso di visitatori e studenti. Ho avuto l’impressione che ai ragazzi sia stato dato più spazio, anche fisico, per visitare a modo la fiera. Tavoli dedicati, corner riservati agli studenti che in qualche caso hanno potuto fare una sorta di lezione dal vivo dopo aver visitato gli stand. E poi c’è stato il riscontro, per così dire, più politico e direi accademico. Si voleva dare l’idea di una città, di una provincia, di un sistema industriale forte e innovativo giustamente preoccupato, in particolare, sui temi dell’energia e dell’automotive in particolare.
Tre cose da fare (o copiare)
Da Futura Expo mi porto via due-tre cose che potrebbero, per così dire, essere prese come storie da estrapolare e sviluppare.

Penso ai Bioeconomy Dialogues. È un evento che mette insieme molte università italiane con l’intento, fra gli altri, di far conoscere buone pratiche in materia di economia circolare e risparmio energetico ambientale. È roba seria (sono le università!) che racconta di cose fatte, non solo teoria. Storie di progetti realizzati. Ora, dico io: una cosa così va fatta circolare, non può essere tenuta dentro solo a Futura Expo. Bisogna portare «sta cosa» in giro per la provincia. Capisco sia faticoso, ma va fatto.
Fra le cose da portare su scala più ampia, segnalo la storia della AB di Orzinuovi, che ha avviato una piattaforma dove si possono segnalare le buone pratiche aziendali. Un’azienda ha risolto un problema in un certo modo e lo scrive – lo segnala – anche alle colleghe: che copino, se vogliono. Capisco le possibili obiezioni, ma la pratica è piuttosto diffusa in Giappone (nel Bresciano ricordo solo il caso della Oms di Paride Saleri) ed è un modo vigoroso di fare sistema fra le aziende a partire dalla rete dei fornitori. Una storia da seguire.
Da Futura Expo mi porto via anche l’idea del «Festival all’insù» dedicata all’architettura di montagna e che a Vione (alta Valcamonica) ha un suo pezzo di cuore. Mi pare un modo intelligente di animazione territoriale che mette insieme marketing e salvataggio di un magnifico paesino. È il tema dell’abbandono delle aree marginali che non riguarda solo le valli. Fate un giro in queste settimane fra le campagne della Bassa: grandi cascine abbandonate e paesini semi deserti.
Ma coraggio: le cose si possono fare, qualcuno ci prova, copiamo. Anche a questo servono le fiere.
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