Etica e tecnologia: l’Intelligenza artificiale alla prova del libero arbitrio
Cartesio l’aveva già enunciato chiaramente: l’io s’identifica con la coscienza, l’autoevidenza del pensiero, che è il primo fondamento della realtà. Un «primum», appunto, sotto il profilo filosofico e «irriducibile» secondo un grande studioso della fisica quantistica come Federico Faggin, il noto fisico, inventore (è il padre del microprocessore) e imprenditore, che proprio così ha titolato il suo ultimo libro: «Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura» (Mondadori).
L’assunto di base è che la coscienza esista prima della materia e che essa non dipenda dall’attività cerebrale; la fisica classica, insistendo su una visione deterministica, avrebbe finito con l’escludere o non considerare adeguatamente taluni aspetti preziosi, e in gran parte ancora sconosciuti, come ad esempio il libero arbitrio.
In Statale
L’affascinante tema che, involve questioni tradizionalmente appannaggio dei filosofi, è stato dibattuto nel convegno finale del master di II livello Iami (Intelligenza artificiale, mente, impresa) dell’Università di Brescia. E dove al vaglio è stata passata la possibilità di una «riducibilità» - la tesi di neuroscienziati come Simone Sarasso e Giovanni Mirabella - o «irriducibilità» della coscienza al cervello, sostenuta invece da Faggin assieme al fisico Giacomo D’Ariano.
Sistema quantistico
Ne è nato un interessante e del tutto amichevole agone scientifico, che ha visto contrapposte le due posizioni. «Quello che è illusorio è la materia, quel che è reale è la coscienza» è l’affermazione tranchante di Faggin, che spiega: «Siamo stati tutti ridotti a macchine, ma il principio della vita è la cooperazione, non la competizione: se questo fosse il principio evolutivo, non ci potrebbero essere sistemi organizzati complessi. Bisogna rivedere gli schemi fondamentali della scienza odierna. La coscienza può soltanto esistere in un sistema quantistico e ha bisogno della sovrapposizione, proprietà che non presente nei computer».
«La potenza della nostra teoria - è il rinforzo di D’Ariano -, sta nella forte derivazione di un set di qualità che sono prettamente della coscienza e che, in ambito informatico, sono indipendenti dal device. Il libero arbitrio non può essere interpretato come lettura di qualcosa di preesistente, ma è creazione dal nulla in accordo col concetto di consapevolezza».Non clonabile?
Non è difficile immaginare che, con riferimento all’intelligenza artificiale, si possa asserire che un calcolatore non potrà mai essere cosciente, in quanto le sue informazioni e i suoi programmi sono sempre copiabili (l’informazione quantistica è, per definizione, «non clonabile»). «Non penserei di ridurre la coscienza come "ontologia" - ammette Sarasso dell’Università di Milano -, ai segnali del cervello, se non come espediente informatico. La coscienza è espressione di un sistema fisico con determinate proprietà, che il cervello massimizza».
«Il libero arbitrio - nota a sua volta Mirabella di UniBs, che cita il celebre esperimento con l’encefaloelettrografia di Libet - è un concetto cardine che le neuroscienze hanno avuto difficoltà a capire. Siamo liberi non tanto perché scegliamo ma perché siamo in grado di cancellare le scelte sbagliate prima dell’azione. Esiste sempre una finestra temporale in cui il soggetto prende consapevolezza dell’atto e può annullarlo».
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