Energia, Saglia: «Serve un prezzo unico europeo, la via è la transizione»

Il bresciano nel Collegio di Arera: «L’Algeria è la nostra nuova Russia, il gas è necessario per altri 15 anni»
Stefano Saglia componente del Collegio di Arera © www.giornaledibrescia.it
Stefano Saglia componente del Collegio di Arera © www.giornaledibrescia.it
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Se si osserva il grafico che descrive l’andamento dei prezzi dell’energia, a balzare subito all’occhio sono i picchi tra il 2022 e il 2023. «Già prima della guerra in Ucraina si era visto un aumento dei prezzi: il conflitto ci ha catapultato in una tempesta perfetta. Il processo di riduzione di forniture dalla Russia è stato rapido, ma il 2023 è stato contraddistinto da enormi oscillazioni, che hanno messo in crisi tutti». La voce è del bresciano Stefano Saglia, componente del Collegio di Arera, l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente.

Quali sono state le contromisure adottate?

Ricorrere di più al gas naturale liquefatto, il Gnl, e quindi via nave e non via tubo. Mettere in esercizio la nave di rigassificazione a Piombino, intercettando il gas proveniente da tutto il mondo, processo che si completerà nel 2025 con la nave di Ravenna.

Quanto ci rendono più indipendenti queste operazioni?

A fronte di un consumo annuo intorno ai 65 miliardi di metri cubi, una ventina di miliardi di metri cubi arrivano via nave.

Qual è la nuova Russia italiana per l’approvvigionamento?

Si può dire che sia l’Algeria, anche se ha prezzi più cari. Con una differenza: in Algeria, Eni può produrre ed estrarre gas da giacimenti propri. Per arrivare a questo è servito tempo, il che ha innalzato i prezzi. Il gas continua ad essere un driver fondamentale per noi: genera la metà della nostra energia.

Ma l’alternativa c’è: a che punto siamo sulle fonti rinnovabili?

Si procede in parallelo e in modo significativo: negli ultimi tre anni, a fronte di installazioni intorno ai 500 megawatt all’anno, siamo arrivati a 5mila megawatt. L’incremento è notevolissimo.

Non è però sufficiente...

Le fonti energetiche rinnovabili non sono gratis. La transizione energetica passa anche da grandi investimenti nelle infrastrutture, vale a dire le reti e, in particolar modo, in quelle di trasporto e distribuzione. Significa che nella bolletta la componente degli oneri sarà sempre più alta: avremo cioè sì un costo dell’energia che diminuirà progressivamente, ma la costruzione di infrastrutture comporta investimenti per decine di miliardi di euro.

Quanto abbiamo investito finora per la transizione?

Negli ultimi tredici anni abbiamo investito 142 miliardi di euro nelle rinnovabili. Chiaramente ci sono stati incentivi.

L’Italia ha ancora un costo dell’energia più alto rispetto agli altri Paesi europei. Come mai?

Questo è un grande problema strutturale dal quale non è facile uscire. Servirebbe un prezzo unico europeo, ma l’egoismo dei singoli Stati lo ostacola: i francesi hanno sussidi grazie al nucleare e le imprese tedesche e spagnole sono più competitive perché costano meno grazie ai sussidi dei governi. Questi aiuti l’Italia li ha dati nei periodi di crisi, ma con l’esplosione del debito pubblico non è più possibile farlo.

Quale la strada?

La nostra direzione è tracciata: gas sempre di meno anche se sarà necessario per i prossimi dieci-quindici anni, più rinnovabili, massimo sfruttamento dell’idroelettrico e accumuli. Avremo una campagna molto consistente di installazione di batterie per stoccare l’energia e realizzare il servizio che oggi fanno le centrali con gli idrocarburi. Ultimato questo processo, avremo un sistema più pulito e competitivo.

E nel frattempo le nostre industrie come possono competere?

Interconnector consente alle aziende di rifornirsi direttamente dalle frontiere, scegliendo quella più conveniente ogni tre mesi. Poi ci sarà l’interrompibilità innovativa, che significa programmare meglio la propria produzione e farsi pagare un servizio dalla rete, interrompendo l’attività. Il governo ha emanato nuovi incentivi per le rinnovabili e gli impianti di biogas verranno trasformati in biometano.

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