Dove investire, ma quando mai ci si preoccupava del clima?
In una ideale scaletta di rischi, quando un'azienda decideva di andare a impiantare una fabbrica all'estero metteva in bell'ordine i costi, i benefici, il mercato, la rete dei fornitori, le possibili agevolazioni fiscali, altri incentivi, la localizzazione, la qualità della manodopera, le tasse naturalmente. Quando mai si poneva la domanda: sì ma che tempo fa laggiù o lassù?
E invece sta prendendo piede, ed è cosa molto seria, una variabile sino a qualche tempo fa credo del tutto trascurata: quella del tempo nel senso di meteo o, per dirla meglio ancora, delle cosiddette variabili ambientali che significa alluvioni, siccità, uragani. Ora, ognuno di noi sa che queste variabili fanno parte della vita. Il problema, per tutti, è che da eventi straordinari stanno via via diventando ahinoi sempre più ordinari.
È una cosa talmente seria che la Sace, la società pubblica che assicura le esportazioni delle aziende italiane, ne ha fatto uno studio a suo modo inquietante. In sintesi: il pericolo di cambiamenti climatici potrebbe passare dall'attuale 27% al 42% da qui al 2050 con due zone critiche, in particolare: il Medio Oriente e l'Europa Orientale, e con una variabile altrettanto critica: la temperatura il cui rischio al rialzo triplica rispetto ai dati di oggi.
Sono simulazioni, stime, previsioni, si potrà dire. E così sono: simulazioni. Ma attenzione: se la Sace (e con lei banche e assicurazioni) si sentono in obbligo di lanciare un alert in questo senso evidentemente c'è qualcosa sotto. Fate una prova: andate in banca o alla Sace e presentate un progetto per un resort alle Maldive e chiedete un finanziamento a trent'anni. Spiace: Maldive a rischio sommersione, niente soldi. È il clima che cambia.
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