Da Dürer a Midjourney, come l’Intelligenza artificiale cambia l’arte

Marco Papetti
Ospite di Avisco al Mo.Ca l’arista Giuseppe Ragazzini: «L’Ai è un amplificatore creativo pazzesco»
Il murale realizzato con l’ausilio dell’Ai da alcuni studenti di Padova - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Il murale realizzato con l’ausilio dell’Ai da alcuni studenti di Padova - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Contadini cinquecenteschi sulla metropolitana incisi con il tratto di Dürer, maschere africane riprodotte con precisione fin nelle venature del legno, paesaggi islandesi in stampe giapponesi.

Nessuna di queste opere è frutto di mano umana: l’«artista» non è altri che l’Intelligenza artificiale in uso nel programma Midjourney, capace in pochi secondi di generare immagini complesse da un’indicazione dell’utente, fornita tramite una comunicazione testuale (un prompt). Una velocità e una precisione tali da suscitare interrogativi: che ne sarà dell’artista se ognuno può crearsi da sé le immagini che desidera? L’opera umana riuscirà ancora a mantenere un suo valore distintivo?

Neutralità ideologica

Domande di grandissima attualità e di certo non prive di criticità, per approfondire le quali l’associazione Avisco ha organizzato il 27 gennaio scorso al Mo.Ca. in centro a Brescia un talk dal titolo «Arte e intelligenza artificiale. Quando la creatività umana incontra l’innovazione tecnologica», «una discussione oltre la consueta logica polarizzante, pro o contro l’Ai» precisa la presidente di Avisco Carla Boglioni.

Relatore del talk è infatti un artista che con l’Ai lavora: Giuseppe Ragazzini, classe 1978, affascinato dal medium digitale al punto da aver sviluppato una personale tecnica di «collage» che fa ampio uso dell’Ai. I suoi lavori, che comprendono anche animazioni, hanno girato i teatri d’Europa e i festival internazionali. È lui a guidare il pubblico alla scoperta del potere artistico dell’Intelligenza artificiale e a stupirlo producendo in diretta le singolari immagini citate all’inizio. Nel 2016 ha anche inventato un’app per insegnare la storia dell’arte, chiamata «Mixerpiece», che faceva ampio uso dell’Ai. «Ma in pochi anni - dice -, questi sistemi generativi hanno avuto un balzo stupefacente».

L’antesignano

Eppure non è passato tanto dal primo, rudimentale quadro di un’intelligenza artificiale, il «Ritratto di Edmond Belamy», battuto all’asta da Christie’s nel 2018 per 432mila dollari. E benché l’approccio di Ragazzini sia senza preconcetti, pure lui riconosce i problemi: «Qualche anno fa dicevo che era la nostra imperfezione a dare un valore inimitabile alla nostra arte. Ma oggi l’Ai non solo riesce ad eliminare quegli errori, chiamati in gergo "artefatti", che la rendono individuabile in quanto AI, ma è in grado anche di imitare le nostre imperfezioni».

E non è l’unico progresso: «I sistemi generativi sono sempre più potenti e imprevedibili, e in qualche maniera già dimostrano capacità di produrre risultati irriducibili alle loro componenti di base». In soldoni: se prima si poteva ancora dire che l’AI sapeva fare cose strabilianti ma senza metterci, in fondo, nulla di suo, ora invece sembra saper aggiungere anche un sovrappiù di «creatività».

Ma non è detto che l’Ai non possa aiutare l’artista: «È un amplificatore creativo pazzesco -sottolinea Giuseppe Ragazzini -, può darci una grande mano ad esplorare diverse possibilità. Penso ad esempio a un costumista o a un animatore che deve creare un personaggio: l’Ai può dargli una grandissima mano. Dobbiamo insegnare alle nuove generazioni - conclude -, ad usare queste tecnologie in maniera umana: sarebbe bello non perdere le nostre competenze».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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