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Come connettere le macchine non intelligenti senza cablaggio

Data in a Box raccoglie i dati dalle vecchie macchine e li trasmette senza necessità di cablaggio
Data in a box, da sx Marino Piotti, Massimo Facconi e Emiliano Milan
Data in a box, da sx Marino Piotti, Massimo Facconi e Emiliano Milan
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Ci son le macchine nuove, i sistemi complessi, fibra ottica ad ogni passo. Il 4.0 questo è: sensori e fibra che si connettono. Va da sè, però, che non per tutti è possibile fare salti in avanti all’insegna dello sbaracchiamo tutto e avanti con investimenti nuovi di pacca. C’è, com’è intuibile, una immensa prateria di aziende, di officine, di macchine che spesso sono ancora buone, che magari sono old style ma che o son così o di nuove che fanno quella particolare cosa non ci sono. Ecco: che fare delle vecchie macchine, possiamo immaginare una maxi rottamazione? Difficile. Forse più facile, come si usa dire ricorrendo ad una bella immagine, collegare il tornio al server. Oppure...

Ecco, su questo «oppure...» si inserisce l’idea (ormai ex idea visto che è diventata prodotto) che è nata nella Bassa, a Leno, sotto i capannoni della Facon srl: qui hanno avuto l’intuizione e ci ha lavorato per qualche anno. E poi hanno trovato in Superpartes spa e in Giuseppe Bellandi della Gimatic due soci per il perfezionamento e l’ingegnerizzazione, come si dice. 

La società l’hanno chiamata Data in a Box, ovvero i Dati in una Scatola, meglio sarebbe dire scatoletta visto che il prodotto (un sensore con particolari caratteristiche che restano riservate) sta dentro un contenitore da pochi centimetri che raccoglie i dati dalle vecchie macchine e li trasmette senza necessità di cablaggio. Il classico prodotto che sta tutto dentro un’idea (il famoso sensore). Per il resto una scatoletta di immediata installazione e semplice trasmissione ad alcune antennine raccogli dati sparse per il capannone. Se poi collegate queste antennine ad un Erp il gioco è fatto. Un po’ di tecnologia avanzata (anche costosa) serve (ma è l’Erp) per il resto, come detto e come mi hanno detto, la cosa appare semplice e poco costosa.

Alla Facon la stanno sperimentando con soddisfazione. Storia curiosa questa di Facon. Nasce nel ’92 da Massimo Facconi, sino ad allora tecnico della qualità alla Cobo di Leno, oggi un mezzo colosso della cablatura elettrica (automotive in primis). E nella cablatura resta la Facon che oggi ha 65 addetti, 5 milioni di ricavi per il 70% all’export, che si è ricavata una nicchia di mercato nelle connessioni elettriche, ovvero di quei cavetti che servono a collegare due dispositivi o due punti-energia. Prodotto solo in apparenza banale se lo volete di qualità, ma questo è un altro discorso.

Pietà: basta carte. Qualche anno fa, per arrivare a noi, in Facon arriva a fare il direttore tecnico Emiliano Milan che prova le fatiche nel tener ordine ed ordini, in qualche caso sommerso dalle carte che ogni operatore compilava a fine turno. Carte quasi mai controllate sistematicamente. «Serviva - dicono Facconi e Milan - un qualcosa che tenesse sotto controllo il processo produttivo nella nostra particolare situazione, ovvero con macchine semplici in molti casi, praticamente impossibili da digitalizzare oppure che, più prosaicamente, non si vogliono digitalizzare o cambiare.

Da qui, da una esigenza concreta, è nata la scatolina di Data in a Box che consente, per l’appunto, di «connettere le macchine non intelligenti senza fare cablaggio», come ribadisce Marino Piotti, a.d. di Superpartes spa, realizzando «un prodotto-sensore che ci consente di tenere sotto controllo il processo produttivo».
Le applicazione in Facon sono molteplici: dalle macchine spelafilo alle più complesse presse, meglio: sullo stampo, dentro lo stampo. E qui siamo alla innovazione vera. E ulteriori applicazioni sono allo studio. Praterie da conquistare visto che - dicono Facconi e Milan - la scatoletta va bene su qualsiasi cosa si muova.

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