Col cambiamento climatico aumentano rischi e costi collegati al dissesto idrogeologico
Di inondazioni e frane è purtroppo punteggiata la storia d’Italia, la cui morfologia, unita spesso all’incuria del territorio, l’ha resa particolarmente sensibile a questi fenomeni estremi.
Ma oggi, con la stragrande maggioranza della comunità scientifica concorde nel riconoscere il cambiamento climatico, viene naturale interrogarsi sul rischio che anche quest’ultimo fattore possa aggravare i rischi idrogeologici.
Il master
Una domanda con cui si è aperto sabato scorso il master «Rischio climatico e governance dell’ambiente» dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, diretto dalla professoressa Ilaria Beretta: «Disastri naturali ed eventi meteorologici estremi – ha detto la docente –, sono considerati nella percezione a livello mondiale come il secondo maggior rischio per i prossimi cinque anni». Della questione hanno discusso due esperti del tema, ricercatori all’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Irpi) e del Centro nazionale ricerche (Cnr): Fausto Guzzetti, dirigente di ricerca dell’Irpi e accademico dei Lincei, e Paola Salvati.
«Il riscaldamento globale è inequivocabile ma il suo effetto sui rischi idrogeologici resta difficile da proiettare nel futuro, in particolare per prendere decisioni – ha evidenziato Guzzetti –. La comprensione degli effetti che il riscaldamento globale ha sui processi idrogeologici è condizionata da molte, forse troppe, variabili, climatiche e non».
I numeri
I dati sul coinvolgimento del territorio italiano in disastri idrogeologici dicono che dal 1973 al 2022 le inondazioni hanno interessato 1344 località in 977 Comuni e causato 545 morti e quasi 160mila evacuati, mentre le frane, in 2.628 località di 1541 Municipi della Penisola, hanno provocato la morte di 1.077 persone e lo sfollamento di 144.806.
Nel 2023 i morti per inondazioni sono stati 26, molti dei quali nel maggio 2023 in Emilia-Romagna, caso emblematico d’imprevedibilità: «Il 78,5% delle oltre 65mila frane avvenute non era mappato, erano quindi nuove - aggiunge l’accademico -, e oltre la metà dell’area franata è avvenuta in aree considerate non pericolose dai piani di assetto idrogeologico». Dati che dimostrerebbero «quanto poco sappiamo di dove possano avvenire le frane».
Previsioni
Qualche previsione è però possibile: «In Italia ci aspettiamo più piene torrentizie e più inondazioni pluviali, causate da piogge brevi e intense, e meno grandi piene fluviali, esito di piogge prolungate: piene torrentizie e inondazioni pluviali sono le più pericolose, quindi ci aspettiamo che il rischio per le persone aumenti - spiega Guzzetti -. Si prevedono poi più frane superficiali e veloci, causate da piogge brevi e intense, e superficiali e profonde, determinate dalla rapida fusione della neve, e meno frane profonde e lente da piogge prolungate: le frane superficiali sono le più veloci e pericolose, quindi anche qui i rischi aumenteranno». Per il futuro, oltre a «migliorare le capacità previsionali», occorrerà «investire di più nell’allertamento». E non che frane e inondazioni non siano già costati all’Italia, come ha mostrato Paola Salvati: dal 1944 al 2023 la stima dei costi prodotti dal dissesto idrogeologico ammonta a 112 miliardi di euro, «con una spesa annua triplicata dal 2010 all’anno scorso», quando è stata di circa 3,3 miliardi.
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