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Cobot Luciano si è svegliato: via all'era 4.0 di Trutorq

«Non contavamo le ore ma i margini erano pochi»: in due anni la storia (e i conti) si sono ribaltati
  • Dentro la fabbrica: Trutorq di Rovato
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Come in tante storie delle vita, c’è un prima e un dopo. Il discrimine risale a due anni fa. Angelo Masserdotti era un quasi cinquantino gagliardo, sintesi perfetta del nostro imprenditore: fatto da sé, giù la testa e lavorare, la meccanica nel sangue, il fatturato come obiettivo, una sana voglia di crescere, di affermarsi, di veder crescere la sua Trutorq Italia non lesinando sulle ore e sugli investimenti, anche quelli apparentemente un po’ eccentrici. Fra questi figurava un cobot, ovvero un robot collaborativo, una macchina che può lavorare gomito a gomito con tecnici e operai senza barriere, perchè il cobot è leggero e supersensibile.

Lo compra nel 2013. E badate che siamo alla preistoria di queste macchine, quando il 99,9% dei suoi colleghi imprenditori manco sapevano dell’esistenza.Se lo porta a Rovato, vuole installarlo ma si rende conto che metterlo lì così, in mezzo alla fabbrica senza avere il contorno adeguato, sarebbe inutile. E Luciano, così verrà poi chiamato il cobot, se ne sta imballato, lì, fermo. La storia di Luciano, il cobot dormiente, la racconta l’anno scorso Diego Bettazza in uno degli incontri 4.0 promossi dal nostro giornale (qui potete rivederlo interamente). L’ingegnere della Project Group lo prende ad esempio di come, qualche volta, «innamorarsi» di un investimento sia rischioso.

Perché prima serve il resto: l’organizzazione, la sistemazione della fabbrica, una razionalizzazione dei processi, il controllo della gestione. Quel che preliminarmente serve, in buona sostanza, è un check up approfondito. una verifica di quel che si ha in fabbrica, di quel che si fa, di quel che si vorrebbe fare eccetera eccetera. Sembra facile. E lo è. «Per esempio - dice Masserdotti - si è capito dove concentrarci, si è deciso di vendere capacità produttiva in eccesso, di fare nuove lavorazioni visto che c’erano macchine che avevano ore buche». Si è applicata quella che viene chiamata (ricorda Bettazza, che alla Trutorq Italia ha fatto l’intervento con i colleghi Armando Marini e Andrea Belussi) la «teoria dei vincoli».

Storcete il naso? Sbagliate, viene in soccorso Masserdotti: «È una cosa che sembra facile. E lo è». Diciamo che tutto questo è un po’ preliminare al 4.0, all’introdurre innovazione tecnologica, che serve, intendiamoci, ma dopo aver fatto una sistemazione complessiva. I ritorni, per arrivare al dunque, sono stati interessanti, molto interessanti. Si è perso qualcosa sui ricavi, almeno inizialmente, ma i margini in due anni si sono quadruplicati. E le prospettive sono a dir poco incoraggianti.

La Trutorq sta in via Stelvio a Rovato (fra parentesi: via Stelvio è clandestina sulle mappe, storia lunga, fatta di permessi-lottizzazioni-distrazioni, mah!). Trutorq Italia era emanazione di una multinazionale svedese. Adesso è tutta di Angelo Masserdotti. Fa attuatori per valvole, in pratica automatizza valvole per oil&gas e acqua. 5 milioni di ricavi (85% export, Russia e Canada in primis), 26 addetti, una filiale produttiva a Mosca.

Tutta questa storia, quel che si è fatto, come lo si è fatto e perché, Angelo Masserdotti la racconterà in un incontro messo in calendario dalla Project Group, in programma il 29 novembre (per partecipare: info@projectgroup.it o 030.3533886). Le prospettive appaiono buone, persino troppo. Aver selezionato i clienti ha lasciato ore libere alle macchine che sono state riempite con produzioni a più valore aggiunto. Ma anche il mercato degli attuatori corre al punto che il fatturato 2019 - queste le previsioni - crescerà del 40%. «No, non è stato difficile fare quel che abbiamo fatto. La vera difficoltà è decidere di partire», commenta in conclusione Angelo Masserdotti.

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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