Alternanza scuola lavoro, allora è tutto da buttare?
Le aziende, dopo due anni di rodaggio, l’avevano ormai non solo digerita ma apprezzata. Non avevano mancato di far sapere delle lacune, di lamentarsi (poco, in verità) dei costi e delle lungaggini burocratiche che inevitabilmente si accompagnano quando arriva una novità in azienda. Ma, alla fine, praticamente tutte convenivano sulla bontà della cosa (al GdB il progetto va a gonfie vele). La cosa in questione è l’alternanza scuola-lavoro, quel programma per cui gli studenti degli ultimi tre anni delle superiori passavano 400 ore (obbligatorie) in aziende, uffici, laboratori artigiani.
Era (e speriamo resti) un modo per avvicinare i ragazzi al mondo del lavoro, per fargli avere un’idea di quel che è la fabbrica, un impianto, che significa lavorare e imparare accanto ad un tornio piuttosto che capire l’organizzazione e cosa si fa in qualche ufficio o negli studi di progettazione. Un modo, per l’appunto, di vedere e toccare con mano quel che potrebbe essere un lavoro a diploma intascato, o magari per correggere, strada facendo, il proprio percorso scolastico. Ripeto: una cosa che alle aziende era piaciuta e solo qualche sgangherata polemica poteva classificare come regalo alle aziende il tempo degli studenti.
Adesso qualcuno farà salti di gioia: il Governo vuole abbattere il monte ore triennale, portandolo a 180 ore negli istituti professionali e a 150 nei tecnici. E nei fatti trasformando l’alternanza scuola-lavoro «in una gita in azienda», come efficacemente sintetizzato da Federico Visentin, vice presidente di Federmeccanica. «... ma copiamo dalla Germania», ci ripetiamo spesso.
Ecco: questa era l’occasione per mantenere inItalia quel che in Germania si fa da decenni. Con monte-ore adeguato, ovviamente.
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