Lo zio milionario non fu circuìto: assolti gli avvocati
«Sei anni di fango per niente. Sono stato mio malgrado protagonista di un film pulp esistito solo nella fantasia di chi l’ha girato. Se c’è una vittima quella siamo io e il collega Ernesto Folli». A parlare è l’avvocato Luca Dagnoli. Le sue parole seguono di qualche minuto quelle che il presidente della seconda sezione penale della Corte d’appello Antonio Minervini ha utilizzato per assolvere lui ed il suo coimputato, dall’accusa di circonvenzione di incapace perché il fatto non sussiste. L’anziano gabbato - che poi era lo zio dell’avvocato Dagnoli - era capace di intendere e volere, dicono i giudici di secondo grado, e soprattutto non è stato circuìto, a differenza di quanto ritenne il Tribunale nell’aprile del 2018, quando condannò i due legali a un anno ed 8 mesi.
I due erano accusati di aver approfittato delle precarie condizioni cognitive di Vincenzo Risatti - ottuagenario proprietario di hotel a Limone del Garda - e di essersi fatti pagare parcelle per 60mila euro a testa. Risatti, poco dopo la firma sulle sue ultime volontà, fu dichiarato incapace di intendere e volere. Circostanza che alla lettura del testamento fu fatta valere dai suoi parenti più stretti e si trasformò nel fulcro attorno al quale sono stati istruiti diversi processi, accomunati, almeno sino ad ora, da un identico destino.
Oltre al procedimento che ieri ha registrato l’assoluzione in appello, l’avvocato Dagnoli ha affrontato con successo un altro procedimento, quello che lo vedeva coimputato con la badante moldava e il figlio proprio per il contenuto del testamento. I tre furono assolti nel 2019 perché il fatto non sussiste dal giudice Di Serafino. Il legale nipote del de cuius, sempre nel 2019, ha affrontato anche la commissione disciplinare dell’Ordine degli avvocati ed è stato prosciolto anche in quella sede. A processo, sempre per circonvenzione di incapace, sono finiti anche gli eredi dell’anziano: la badante moldava (che con Risatti, emerse a processo, aveva una relazione affettiva) e suo figlio. I due sono ancora accusati di aver approfittato delle condizioni dell’anziano e di averlo indotto a firmare sostanziosi bonifici a loro favore.
Dopo la condanna in primo e in secondo grado madre e figlio nella scorsa primavera hanno incassato l’annullamento della sentenza d’appello con rinvio. La Cassazione vuole che il processo si rifaccia e che alcuni aspetti vengano approfonditi, magari con un supplemento istruttorio. Dell’impianto accusatorio, dopo anni di processi e sospetti, oggi resta ben poco.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato