La pornostar è stata uccisa, aveva il cranio sfondato
Uccisa. Con colpi alla testa tanto violenti da lasciarle il cranio fracassato. L’autopsia sui resti ripescati in fondo al lago di Garda hanno offerto agli inquirenti le prime risposte attese. Su tutte una: il cadavere che si trovava nella cassa sepolta sul fondale del Garda è quello di Federica Giacomini, la 43enne ex attrice hard sparita nel nulla dall’inizio dell’anno. Suoi i tratti del viso, risparmiato dai colpi letali e dall’azione dell’acqua, sua la mano destra priva di una falange del dito anulare. Elementi che di per sé fugano tutti i dubbi, ancor prima della certezza scientifica che verrà dall’esame del Dna.
Gli interrogativi che restano sono semmai altri: quelli legati al quando e al dove di quel delitto sul quale gli inquirenti non hanno dubbi: a compierlo è stato Franco Mossoni, il 55enne di Malegno, compagno della donna, con un passato segnato da un omicidio in Valcamonica nel 1978, una fuga da Canton Mombello e una frequentazione assidua con carceri e ospedale psichiatrici. La Procura di Vicenza lo accusa ora di omicidio volontario e occulamento di cadavere.
Era lui, infatti, secondo le celle di telefonia mobile e secondo la testimonianza del barcaiolo di Castelletto di Brenzone, il sedicente biologo che noleggiò una chiatta per gettare in fondo al lago quella che spacciava per strumentazione scientifica e che invece era la cassa azzura in cui aveva riposto il cadavere di Federica Giacomini, in arte Ginevra Hollander. Quella bara di plastica per trasportare la quale aveva smontato il sedile del passeggero della sua auto sostituendolo con una sdraio. Sulla Fiat Punto, sequestrata ad aprile, non furono rinvenute tracce utili alle indagini. Così parrebbe neppure sulla Opel Tigra della vittima, ritrovata indicendata e abbandonata da mesi a Pescantina, nel Veronese, dove la donna aveva una seconda casa. Forse proprio in quel parcheggio il Mossoni potrebbe aver inferto i colpi fatali.
Quando è più difficile da stabilire: nelle scorse settimane si era parlato di una telefonata tra la ex pornostar e una amica, in cui la donna diceva di temere per sé, conversazione datata 9 febbraio. Ora gli inquirenti sembrano orientati a retrodatare la fine travagliata della storia tra Mossoni e la Giacomini con la morte della donna tra il 18 e il 19 gennaio, l’ultima volta in cui i cellulari dei due risultano attivi contemporaneamente nella stessa area.
Mossoni, nel frattempo rinchiuso nell’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia, non smette di professare la propria innocenza per tramite del suo legale, l’avvocato camuno Gerardo Milani, che lo incontrerà nei prossimi giorni, anche in vista della perizia psichiatrica già disposta per il 55enne dal gip vicentino per l’8 luglio.
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