Garda

«Italianissima»: tradizione figurativa e tensione d’avanguardia

Al MuSa un’ottantina di opere della collezione donata a Firenze da Alberto della Ragione
Olio su tela. Virgilio Guidi, «Donna in bleu», 1954 circa
Olio su tela. Virgilio Guidi, «Donna in bleu», 1954 circa
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Non è certamente un caso che - mentre al terzo piano del MuSa di Salò è ancora in corso la mostra «Il culto del Duce», dedicata all’arte del consenso durante il Ventennio - la nuova rassegna temporanea dal titolo «Italianissima», sia di fatto frutto dell’azione collezionistica e mecenatesca di un antifascista come Alberto della Ragione (1892-1973), intellettuale che volle censire la pluralità che caratterizzava l’arte italiana, anche negli anni «dell’unica direzione» imposta dal regime.

La rassegna, in programma fino al 9 dicembre (tutti i giorni, 10-19; www.mostraitalianissima.it) presenta un’ottantina di opere provenienti dal Museo del Novecento di Firenze, nucleo della collezione che egli donò alla città gigliata dopo l’alluvione del 1966. Una donazione motivata dalla consapevolezza che un’opera d’arte vive davvero solo se inserita in una dimensione pubblica e museale. In un bellissimo allestimento, arricchito dal forte cromatismo che caratterizza le sale dialogando evocativamente con le opere e da contributi multimediali, il percorso, a cura di Giovanni Lettini, Stefano Morelli e Sara Pallavicini, affianca dipinti e sculture di spessore dei nomi più significativi del panorama artistico italiano degli anni tra le due guerre, tra cui Birolli, Campigli, Carrà, de Chirico, Paresce, Maccari, Casorati, Rosai, Scipione, Mafai, Guttuso.

Con uno spirito libero, Alberto della Ragione, senza mai allinearsi al gusto passatista o di regime, si concentrò soprattutto sulle ricerche caratterizzate da una tensione verso il futuro. Fu amico fraterno e protettore di tanti artisti, soprattutto nei loro momenti di massimo isolamento e fragilità: offrì asilo ai coniugi Mafai dopo l’emanazione delle leggi razziali. «Seppe darci soprattutto ciò di cui avevamo più bisogno: fiducia e amicizia. Fu per noi sposo, fratello, padre» scriveva Renato Guttuso. «L’intimità fra collezionista e artisti - dice Stefano Morelli - si legge esplicitamente nella scelta dei quadri: i più sinceri, meno retorici, quelli in cui ognuno di loro si esprimeva più liberamente». Otto sezioni.

Nelle otto sezioni dedicate ad alcuni fondamentali nodi tematici si viene trasportati nelle atmosfere, un po’ stranianti, generate da un’arte ancora fortemente radicata nella solida tradizione figurativa, ma al contempo in accesa tensione verso l’Avanguardia. Protagonista una figurazione che si fa anche simbolo, come nei tre ritratti di Virgilio Guidi che in successione nella sezione «Il volto santo» esplicitano una nuova estetica, scivolando verso quel progressivo disfacimento che ne annunciava l’imminente caduta, da cui si generarono le grandi sperimentazioni informali del Dopoguerra, annunciate in mostra dalla presenza di due «Concetti spaziali» di Lucio Fontana, inseriti nella sezione «Presagi», e dal bellissimo «Achrome» di Piero Manzoni che troneggia nella sala dedicata alla «Natura viva», provenienti da collezione privata.

Nelle altre sezioni - «Ora et labora», «Paradisi perduti», «Sacri riti», «Scenografie urbane», «Guardami» - paesaggi, figure, soggetti religiosi, ritratti, nature morte... ci parlano con la lingua della poesia fatta di colori intensi e gessosi, forme e volumi solidi ed eterei, tempo e spazio ripensati. Luci e ambiguità di un’epoca malinconica e fragile nella sua solidità solo apparente.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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