Garda

Il Vate, la Sirenetta e il «pizzino»

Nel 150° della nascita di D'Annunzio, lo studioso Oreste Cagno riporta alla luce la storia di una missiva inviata al poeta dalla figlia
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L'Orbo veggente, la «Sirenetta» del suo Notturno, un «pizzino». Nell'ordine: Gabriele D'Annunzio, sua figlia Renata e una missiva indirizzata dal primo alla seconda. Busta riaffiorata sulla bancarella di un mercatino di cose d'altri tempi e lì ripescata ora da Oreste Cagno, appassionato ricercatore di storia e di vicende di uomini, che ne riprende origine e destinazione, discettando sul contenuto, al cadere dei 150 anni della nascita del poeta-soldato. «Piace pensare, e la supposizione non è poi azzardata, che a questa busta - sottolinea Cagno - sia stato affidato uno dei frammenti autografi utilizzati dalla figlia del poeta per "ricomporre" il Notturno, raccolta lirica edita per i tipi della Treves di Milano nel novembre del 1921».

Questa la storia, che inizia dalla lettera ripescata nel mercatino «qualche anno fa, forse a Desenzano o Roncadelle, non ricordo bene» precisa Cagno. Una raccomandata che d'Annunzio spedisce dal Vittoriale di Gardone Riviera il 17 agosto 1921. «Il ritrovamento della busta - prosegue il ricercatore - presta oggi il destro per riportare alla memoria due delle donne amate, in questo caso in diverso modo, dall'incontenibile poeta pescarese».

La missiva, scritta di suo pugno, è indirizzata a Renata, nata nel 1893 a Resina, nel Napoletano, dalla sua relazione con Maria Gravina Cruyllas, moglie del conte Guido Anguissola. Fu l'unica figlia che riconobbe come sua. Al suo nome, D'Annunzio aggiunge nell'intestazione il cognome del marito, il tenente di vascello Silvio Montanarella, di casa a Melfi, in Lucania. «La raccomandata pesa 45 grammi - dice ancora Cagno -, paga un importo di lire 1,60. Di questi 40 centesimi per la raccomandazione e, dato il maggior peso, il tutto costa tre volte l'importo per una lettera normale. I francobolli, emessi alcuni anni prima, sono comuni e mostrano Vittorio Emanuele III ancor giovane».

Renata, ultima dei figli dell'Imaginifico e da lui molto amata, restò vicino al padre assistendolo nel periodo in cui era in convalescenza a Venezia, alla Casetta Rosa, a seguito dell'incidente occorsogli nel gennaio del 1916 durante un atterraggio d'emergenza con il suo aereo dalle parti di Grado. Incidente che gli procurò la perdita dell'uso dell'occhio destro . Da qui la definizione autoreferenziale da egli stesso coniata: Orbo veggente.
«L'educazione della diletta figlia - prosegue il ricercatore gardesano -, affidata a un prestigioso Collegio di Firenze, l'ottima formazione culturale ricevuta e il suo grande amore filiale, la faranno entrare di buon diritto nella storia della letteratura italiana.

E proprio a seguito di quell'incidente. Infatti il poeta detta a lei, paziente e indispensabile Renata che in Venezia sola e amorevolmente lo assisteva, il Notturno, un'opera scritta col sangue in prosa lirica, ricca di meditazioni e ricordi tra i più sinceri e intensi. Ma non fu proprio una dettatura, anche se le condizioni oggettive la permettevano e persino consigliavano. D'Annunzio preferì scrivere il Notturno utilizzando migliaia di strisce di carta su cui vergò un solo rigo, per evitare di soprapporlo e renderlo quindi incomprensibile. Fu poi la certosina Renata a radunare con scrupoloso ordine il tutto, e permetterne in seguito la pubblicazione».

Nella primavera del 1921, passate le ruggenti giornate dell'impresa di Fiume, il Comandante riprende finalmente a lavorare sul canovaccio lirico che Renata ha assestato. «Sono convinto - conclude Cagno - che la voluminosa missiva del 17 agosto 1921, da noi esposta, contenesse qualcuno dei diecimila frammenti cartacei del Notturno circa i quali, l'Operaio della parola, chiese alla figlia qualche spiegazione».

Il riservato contenuto della raccomandata non sarà mai svelato. È un segreto che riposa con la sua destinataria, mancata nel 1976, nella discreta sepoltura tra le mura del Vittoriale. Sulla lapide l'accompagnano i versi del Notturno che a lei il padre ha dedicato: «La sirenetta appare sulla soglia/porta un mazzo di rose/è un angelo che si distacca/da una cantoria fiorentina/quando parla il mio cuore si placa».

Qui si ferma la storia del Poeta, della Sirenetta e del «pizzino» in una vecchia missiva spedita nella calda estate gardesana di un lontano anno del Secolo breve.

Enzo Gallotta

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