Forbici alla gola dell'ex compagna, condannato in appello
Quelle sforbiciate alla gola non furono frutto del caso, ma figlie della rabbia di chi quelle forbici da cartoleria stringeva tra le dita. Quelle lesioni quindi non furono colpose, ma dolose. Quel proscioglimento per difetto di querela ieri si è trasformato in una condanna a quattro anni e quattro mesi di reclusione. Si è concluso con questo verdetto il processo di appello a carico di Angelo Macrì, il 56enne di origini calabresi accusato di aver ferito l’ex compagna all’interno del negozio di pelletteria in corso della Repubblica a Gardone Riviera, il pomeriggio del 17 agosto di due anni fa.
La Corte d’appello di Brescia ha accolto la richiesta della procura generale, nella persona del sostituto procuratore generale Francesco Rombaldoni, e disposto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per risentire tanto l’imputato quanto la persona offesa.
Cosa accadde
La donna, sin da quando fu dichiarata fuori pericolo e potè incontrare il pubblico ministero titolare dell’inchiesta Marzia Aliatis, disse che al culmine di una discussione per ragioni di carattere economico Macrì le volò addosso, tentò di strangolarla, non ci riuscì, ma non desistette. Anzi, ci riprovò con le forbici recuperate dal bancone e la colpì al collo. Raccontò di essere caduta al suolo con lui e di essersi ritrovata in un lago di sangue.
Angelo Macrì, al termine di quella colluttazione, uscì infuriato dal negozio, piombò in corso della Repubblica urlando: «La denuncio, vado dai carabinieri e la denuncio», poi si diresse davvero alla stazione dell’Arma per andare incontro alle manette. Dopo aver ricostruito i fatti i carabinieri, invece di dargli ragione, lo arrestarono con l’accusa di tentato omicidio. Il 56enne, che è stato in custodia cautelare una decina di mesi, a processo disse che non volle né ferire, né tanto meno uccidere la compagna, e che quelle forbicine caddero dal bancone e la ferirono nel corso della colluttazione.
In tribunale
Il presidente della prima sezione Roberto Spanò accreditò la sua versione, derubricò l’accusa da tentato omicidio in lesioni colpose e, preso atto dell’assenza di querela, dichiarò il non luogo a procedere. Dopo aver risentito l’uomo e la donna, assistita dall’avvocato Sara Terpin, il collegio (Claudio Maria Gaetano Mazza, Francesco Nappo e Silvia Milesi) ha riscritto l’intera storia, ritenuto che quelle sforbiciate non fossero in grado di uccidere, ma siano state comunque dolose e che soprattutto abbiano un prezzo: 4 anni e 4 mesi di carcere e 10mila euro di provvisionale immediatamente esecutiva.
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