Dopo 70 anni consegnata la cartolina da Auschwitz
«Sto bene. Mi occorre subito un paio di pantaloni non belli, calze, portafogli, tabacco. Baci». È stringato il messaggio scritto a matita su una cartolina postale ad Auschwitz da Cesare Brocchetti.
Lui quelle poche parole che informavano moglie e figli delle sua condizioni di salute, della circostanza che non faceva più la guardia e che potevano scrivergli con posta ordinaria tutti i giorni, le conosceva bene. Non aveva mai potuto leggerle, invece, la moglie Fernanda, da sempre Mara per familiari e amici.
Almeno fino a qualche giorno fa, quando in modo del tutto rocambolesco la cartolina postale scritta da Auschwitz quasi settant’anni fa, esattamente il 21 agosto del 1944, le è stata consegnata dal figlio Attilio. Ed è lei, che aveva potuto riabbracciare l’amato Cesare nel novembre del ’45, la vera protagonista di questa commovente storia.
La racconta il figlio Attilio, partendo dalla cartolina: «Un collezionista di Sirmione a gennaio mi ha contattato chiedendomi quanti Brocchetti c’erano a Desenzano. Spiegò che in un mercatino di Comacchio un altro collezionista di Peschiera aveva trovato una cartolina postale indirizzata alla famiglia Brocchetti. Era partita da Auschwitz. In quel momento ho avuto un tuffo al cuore. Lo informai che proprio mio papà era ad Auschwitz in quel periodo. I due a fine gennaio hanno deciso di regalarmi l’originale consegnatomi da Maurizio Del Marco. E per mesi ho pian piano preparato alla notizia mia madre che è persona molto sensibile e che anche ora continua a ripetere quanto le manca il suo amato Cesare. Le ho consegnato la cartolina nei giorni scorsi, in occasione del suo compleanno, quando l’abbiamo festeggiata coi parenti più stretti».
Sorrisi e lacrime hanno contrassegnato il pomeriggio di festa denso di ricordi. Cesare Brocchetti nel 1941 aveva vent’anni; viene richiamato alle armi e inviato al 4° reggimento del Genio di Bolzano, divisione Pusteria, con l’incarico di marconista. Viene fatto prigioniero dai tedeschi il 9 settembre; lo spediscono a Dachau, poi a Buchenwald, quindi arriva ad Auschwitz. Lavora come prigioniero a Ravensbruck, poi gli viene assegnata la qualifica di lavoratore.
È in quell’estate del ’44 che scrive una delle tante cartoline. Conoscendo bene il francese e il tedesco viene impiegato come interprete. Nel febbraio del 1945 è liberato dalla truppe russe del maresciallo Zukov e svolge diversi lavori, compreso quello della requisizione del bestiame. E proprio in quel periodo è vittima di un incidente che segnerà per sempre la sua esistenza. Vien ferito ad una gamba. Lui racconterà, al rientro, di essere stato colpito da un proiettile.
A giugno esce dall’ospedale ed il 6 settembre ’45 è rimpatriato. Raggiunge con mezzi di fortuna Ginevra, poi Castiglione. A piedi zoppicando, nonostante le stampelle, emaciato, si dirige verso casa soccorso a metà strada dal padre Ercoliano che gli va incontro in bicicletta. Gli viene assegnata la croce al merito di guerra, inviata, senza alcun riguardo per i familiari, per posta. Ma la prigionia lo ha segnato. È ridotto uno straccio, malato, la gamba non è guarita bene, è senza lavoro. Così la famiglia da benestante si ritrova povera. È la moglie Mara a caricarsela sulle spalle. Cesare Brocchetti, che da allora non ha più ritrovato completamente la salute, muore nel 1989.
«Venticinque anni dopo- conclude il figlio Attilio - ecco l’ultimo regalo di mio padre alla mamma, vero angelo della nostra casa: quella cartolina colma di ricordi e di amore».
Ennio Moruzzi
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