Crepe nell'aratro di 4mila anni
L’aratro «intero» più antico mai rinvenuto al mondo è malato. La bure, cioè quella parte del grande manufatto in legno di quercia che si agganciava ai buoi per il traino, è piena di crepe. Una, in particolare, preoccupa gli esperti, tanto che ieri mattina, in via d’urgenza, la restauratrice inviata appositamente dalla Soprintendenza archeologica ha provveduto a mettere in atto le prime «cure», che consistono in una sorta di incerottatura. Nella parte lesionata, infatti, è stata applicata una «benda». L’aratro dalla valenza storica inestimabile, dopo gli accertamenti necessari, verrà quanto prima restaurato in loco. Questo per evitare spostamenti che potrebbero risultare dannosi.
L’allarme era scattato pochi giorni fa quando il dottor Maurizio Bravin del Comune aveva notato la crepa e aveva provveduto a segnalarla alla dottoressa Claudia Mangani, conservatrice del museo Giovanni Rambotti, di cui l’aratro è senza dubbio il pezzo più famoso.
Il manufatto era stato scoperto nell’estate del 1978 nel corso delle campagne di scavo condotte dall’archeologo trentino Renato Perini nella palafitta del Lavagnone.
Fu ritrovato in posizione orizzontale, incastrato fra i pali inclinati della palafitta e alcune tavole carbonizzate nel livello di scavo del bronzo antico.
Grazie al sistema della dendrocronologia venne datato al 2048-2010 avanti Cristo. L’oggetto, in sostanza, è ha qualcosa come 4.061 anni ed è, tra quelli trovati interi, il più antico al mondo.
L’oggetto fu restaurato ed il legno trattato per la conservazione a Mainz, in Germania. L’aratro venne quindi esposto nel museo cittadino.
Le particolarità di questo manufatto sono molteplici. A cominciare dal fatto che è stato ricavato in un tronco di quercia. Ha una lunghezza di 2,20 metri, un ceppo da 90 centimetri, e la bure è lunga 1,90 metri. Di particolare interesse è anche l’intercambiabilità del vomere: consumato nell’aratura a contatto col suolo, poteva essere sostituito grazie ad un sistema a incastro evitando di cambiare l’intero aratro.
L’altra significativa caratteristica è data dalla circostanza che la bure (sorta di lungo bastone da traino) era articolata con il timone. Ciò rendeva meglio manovrabile lo strumento consentendo anche di realizzare un leggero rivoltamento della zolla.
Ed è proprio la bure che adesso desta le principali preoccupazioni, attraversata da più crepe longitudinali e da due verticali, una proprio all’estremità. La «ferita» più preoccupante è a metà dell’asta. «Abbiamo subito avvertito la Soprintendenza, che in pochi giorni ci ha inviato la restauratrice - spiega la dottoressa Mangani -. Il problema c’è. Valutata la situazione, è stata applicata una fascia di sicurezza. Poi si procederà con il restauro». «Il Comune si impegna a curare nel più breve tempo possibile questo manufatto della preistoria, realizzato oltre 4mila anni fa» aggiunge l’assessore alla Cultura Antonella Soccini. L’aratro resta al suo posto e, nonostante l’incerottatura, è uno dei pezzi forti della mostra dedicata al «Popolo dei laghi», che rimarrà aperta fino a metà settembre.
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