Cosa cercano gli inquirenti nella fonderia dei Bozzoli
Negli uffici della Procura generale di Brescia la chiamano «l'azienda clone». La gemella della fonderia Bozzoli di Marcheno, teatro di un giallo mai risolto. Quella che era in fase di realizzazione nell'ottobre 2015 quando Mario Bozzoli, imprenditore di 50 anni era ancora in vita. A due anni e mezzo di distanza la Ifib s.r.l. Finance International, «l'azienda clone» appunto, è stata ultimata ed è operativa. Sorge a Bedizzole e la proprietà è rappresentata da Adelio Bozzoli e dai figli Alex e Giacomo - tutti con il 33,33% delle quote - ovvero il fratello e i nipoti dello scomparso Mario inghiottito in un buco nero l'otto ottobre 2015 è mai più ritrovato.
Questa mattina all'alba Guardia di Finanza e carabinieri si sono presentati ai cancelli dei capannoni della nuova fonderia dei Bozzoli per una lunga perquisizione disposta dalla Procura generale, che un mese fa ha avocato l'inchiesta della Procura i cui termini erano scaduti a dicembre. Il blitz di oggi ha come obiettivo quello di guardare nei conti dell'azienda, trovare documenti relativi al periodo di trasferimento dei materiali da Marcheno a Bedizzole, ricostruire le transazioni economico-finanziarie compiute negli ultimi due anni e mezzo.
Dalle recenti indagini della Procura generale sarebbero emerse due operazioni sospette riconducibili al giallo di Marcheno e che la Guardia di Finanza sta in queste settimane scorporando. Sequestrati oltre a documenti anche i computer presenti negli uffici dell'azienda di Bedizzole.
«Il movente dell'omicidio di Bozzoli è legato al denaro» è la convinzione di chi ha riaperto il caso, il Procuratore generale di Brescia Dell'Osso e i sostituti Martani e Bonfigli. Gli stessi che entro giovedì sentiranno in incidente probatorio davanti al Gip Lorenzo Benini l'ex fidanzata di Giacomo Bozzoli, uno dei due nipoti dello scomparso. La stessa ragazza che già nel 2015, quando venne ascoltata a sommarie informazioni, disse che più volte aveva sentito la frase: «Prima o poi uccido mio zio», pronunciata dall'allora fidanzato. Giacomo Bozzoli così come il fratello Alex e gli operai Oscar Maggi e il senegalese Abu sono ancora formalmente indagati a piede libero con l'accusa di omicidio volontario e distruzione di cadavere.
Le indagini si sono sempre concentrate sul forno della fonderia, ma i Ris e neppure l'anatomopatologa Cristina Cattaneo hanno mai trovato tracce riconducibili a Mario Bozzoli. Tra le ipotesi al vaglio, quella che possa essere stato caricato su uno dei due camion partiti dalla fonderia bresciana all'alba del 9 ottobre 2015, meno di dieci ore dopo dall'ultimo segnale in vita dell'imprenditore che alle sette di sera telefonó alla moglie per dire che sarebbe partito per raggiungerla nella loro casa sul Lago di Garda. Dove Mario Bozzoli non è mai arrivato.
La perquisizione nella nuova azienda della famiglia bresciana arriva il giorno successivo alla decisione del Procuratore generale di Brescia Dell'Osso di avocare a sè anche l'inchiesta, per istigazione al suicidio, su Giuseppe Ghirardini, l'operaio addetto ai forni della fonderia di Marcheno scomparso sei giorni dopo il suo datore di lavoro e poi trovato morto in Vallecamonica, con una capsula al cianuro nello stomaco.
«Gli hanno tappato la bocca perché sapeva la verità, mio fratello non si è ucciso e la nuova indagine lo dimostrerà», è la convinzione di Mina Ghirardini, sorella dell'operaio al centro del giallo nel giallo.
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