Mori: «Le guerre hanno molto a che fare con la crisi climatica, che si può risolvere»

Ingegnere, attivista climatico, è stato il volto nazionale dei Fridays for Future fino al 2022. E adesso Giovanni Mori, 31 anni, è in corsa per le Europee da indipendente nella lista Avs, Alleanza Verdi-Sinistra.
Perché ha scelto di candidarsi ora per le Europee?
Sono passati più di cinque anni dalle marce per il clima, nel frattempo è cambiato il mondo, ma la crisi climatica non si dimentica di noi, anzi. Inoltre la nostra generazione non è per nulla rappresentata: per ogni under 30 che andrà a votare ci saranno tre over 60 e nell’attuale Parlamento europeo ci sono solo due under 30.
Uno degli slogan dei Fridays era «non possiamo fare decidere i prossimi 70 anni ai settantenni». Le generazioni over non si fanno portavoce delle esigenze del presente?
Non sempre sono in grado di rappresentare e spingere le nostre istanze. È fondamentale che la nostra generazione prenda parte alle decisioni. Protesta e proposta devono convivere, perché la politica si fa anche fuori dalle istituzioni, ma non può bastare solo la protesta.
Lei però corre da indipendente in Avs: è una presa di distanza dalla politica e dai partiti?
No, le cose le cambi anche tramite la politica. Non ho tessere di partito perché non arrivo da quella storia, ma ho stima della politica: ce ne vorrebbe di più. Semmai bisogna capire come i partiti possano esistere in questo secolo: Avs è la piattaforma che mette al centro il tema chiave per Fridays, ossia la giustizia ambientale tenendo le persone a bordo, il che significa non fare ricadere la transizione su chi non può permettersela, come invece ha fatto von der Leyen.
Cosa significa davvero occuparsi di clima?
Più di ogni altra cosa significa occuparsi di futuro, definire che tipo di filiera industriale applicare, che cibo vogliamo mangiare e come produrlo, come muoversi, che aria vogliamo respirare. Oggi abbiamo le soluzioni tecniche e tecnologiche, ma guardiamo molto poco in là. Prima del 2040 potremmo azzerare le emissioni in Europa e muoverci anche senza un’auto che, ad esempio, per la nostra generazione è un peso, non ce la si può permettere: un giorno su 5 si lavora per mantenere l’auto.
Nel programma parla di diritto allo studio europeo: cioè?
C’è bisogno di diritto allo studio europeo: ci chiamano generazione Erasmus, ma il 90% se lo deve pagare di tasca propria. Io stesso ho potuto permettermelo perché ho vinto i soldi in un gioco a quiz: non ce lo si può giocare però il diritto allo studio. Dovremmo unire sempre di più le istituzioni europee, ma per farlo dobbiamo convincere i cittadini che l’Europa è conveniente. Questo vale anche per il lavoro: una vera filiera industriale per la transizione si potrà fare solo a livello europeo, spendendo bene e tutte le risorse.
Il Green Deal è stato un po’ messo da parte: è d’accordo?
Sì e lo si deve riportare al centro, perché solo così riusciremo a risolvere molti problemi: le stesse guerre hanno molto a che fare con il fossile e con la nostra dipendenza dal gas.
Il suo slogan è «Impossibile. Finché non lo facciamo»...
Sì, noi stiamo facendo l’«Impossibile tour» per raccontare che tutto ciò che sembra impossibile realizzare, in realtà si può fare, come ci insegna il passato: era impossibile immaginare le 40 ore lavorative settimanali, era impossibile parlare di clima, oggi si fa perché milioni di persone sono scese in piazza.
I Verdi bresciani hanno contestato la sua candidatura: la accusano di essere pro nucleare. Come la pensa?
Non ha senso fare il nucleare in Italia: costa molto e i tempi non sono compatibili con la crisi climatica. Il tema nucleare nel nostro Paese è usato come arma di distrazione di massa per lasciare spazio al gas.
Quali le priorità dell’Europa?
Va cambiata l’architettura europea togliendo in primis l’unanimità, perché così si bloccano i provvedimenti. I prossimi anni sono cruciali per unire di più l’Europa e rispondere a sfide necessarie: transizione, vera filiera delle rinnovabili, piano industriale, agricoltura e allevamento. Servono più regole comuni per andare avanti insieme.
Che posizione ha rispetto alla guerra in Ucraina?
Dopo due anni, oltre alle sanzioni, mi pare evidente che inviare solo armi per la difesa non basti: qualcuno inizia a parlare di economia di guerra e questo non va. Se non si mette in atto una larga iniziativa diplomatica europea, tutto è inutile. Anche per questo serve un’Europa più unita sulla politica estera: solo dopo si può parlare di difesa comune, che non significa però riarmo, ma lavoro congiunto e ottimizzazione dei costi.
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