La Macedonia del nord si allontana dall’Ue: il podcast «La Tribuna»

L’8 maggio si sono svolte le elezioni parlamentari e la doppia vittoria dei conservatori del Vmro-Dpmne rende più difficoltoso il percorso di Skopje verso l’Unione europea
Hristijan Mickoski, leader del partito nazionalista della Macedonia del nord - Foto Facebook
Hristijan Mickoski, leader del partito nazionalista della Macedonia del nord - Foto Facebook
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In vista delle elezioni europee riparte l’appuntamento quotidiano con «La Tribuna», la rubrica di approfondimento con uno sguardo a ciò che accade fuori dall’Italia nella corsa all’Europarlamento. Grazie a una sperimentazione della redazione del Giornale di Brescia con l’intelligenza artificiale, la rubrica è disponibile ogni giorno anche in formato audio: tutte le puntate del podcast sono disponibili su Spreaker, Spotify e le principali piattaforme di ascolto.

Sono nove i Paesi che hanno lo status di candidati all’ingresso nell’Unione europea. Gli ultimi due ad entrare nel club degli aspiranti sono stati Moldova e Georgia con il via libera del Consiglio europeo del 14 dicembre 2023. Si tratta di due Paesi che subiscono forti perturbazioni politiche per mano della Federazione russa: a Chisinau una forte componente filorussa e la minaccia militare proveniente dalla Transnistria rendono incerto il futuro della piccola repubblica che confina con l’Ucraina.

In Georgia nelle ultime settimane si sono registrate proteste di piazza contro la legge sugli agenti stranieri promossa in Parlamento dal partito Sogno georgiano e che prevede che le Ong e i media che ricevono più del 20 per cento dei finanziamenti dall’estero debbano registrarsi come società che curano gli interessi stranieri. Con i manifestanti si è schierata la presidente georgiana Salomé Zourabichvili che ha posizioni filoeuropeiste; ma a Tiblisi, dalla guerra di Ferragosto del 2008 in poi, si guarda con un certo timore alle azioni di Mosca. Ognuno dei nove aspiranti ha un suo percorso di avvicinamento contrassegnato da stop-and-go legati anche al succedersi dei governi nazionali che oscillano tra l’euroscetticismo e l’europeismo.

L’8 maggio si sono svolte le elezioni parlamentari e il ballottaggio presidenziale in Macedonia del Nord e la doppia vittoria dei conservatori del Vmro-Dpmne (acronimo che tradotto in italiano per esteso sarebbe: Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone - Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone) rende più difficoltoso il percorso di Skopje verso l’Unione. Non va dimenticato che fino a qualche anno fa il nome dello Stato era un poco eccitante Fyrom ovvero Former Yugoslav republic of Macedonia, si trattava di una questione linguistica che in realtà era politica.

Il nome di Macedonia del Nord è arrivato grazie all’accordo del Lago Prespa siglato il 17 giugno 2018 dal greco Tsipras e l’omologo macedone Zaev che ha chiuso una vertenza iniziata nel momento in cui l’ex repubblica della repubblica della federazione jugoslava è diventata indipendente. Il nome «Macedonia» non solo non era gradito ad Atene in quanto anche regione greca, ma anche alla Spagna che temeva attraverso il riconoscimento della comunità internazionale anche un supporto indiretto alle comunità che hanno rivendicazioni secessioniste (a partire dalla Catalogna). Hristijan Mickoski leader del Vmro-Dpmne, che ha conquistato il 43,23% (59 seggi su 120), ha improntato l’intera campagna elettorale su messaggi nazionalisti parlando semplicemente di Macedonia e della necessità del riscatto del popolo macedone.

Non solo nei confronti dei greci, ma anche dei bulgari che da un paio d’anni si oppongono all’ingresso di Skopje nella Ue sostenendo che la lingua macedone non esiste e che è un dialetto bulgaro e che la Macedonia è una regione della Bulgaria. I presupposti per velocizzare l’ingresso nell’Unione non sono dei migliori, se si pensa infine che anche la nuova presidente, Gordana Siljanovska, appartiene al partito nazionalista e vuole indire un referendum per eliminare la dicitura «del Nord» dal nome ufficiale del Paese.

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