La Lettonia vuole ancora Dombrovskis: il podcast «La Tribuna»

Per lui sembra quasi scontata la riconferma e si profila quindi un terzo mandato nell’esecutivo europeo
Il commissario europeo lettone Valdis Dombrovskis - © www.giornaledibrescia.it
Il commissario europeo lettone Valdis Dombrovskis - © www.giornaledibrescia.it
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In vista delle elezioni europee ecco il nuovo appuntamento quotidiano con «La Tribuna», la rubrica di approfondimento con uno sguardo a ciò che accade fuori dall’Italia nella corsa all’Europarlamento. Grazie a una sperimentazione della redazione del Giornale di Brescia con l’intelligenza artificiale, la rubrica è disponibile ogni giorno anche in formato audio: tutte le puntate del podcast sono disponibili su Spreaker, Spotify e le principali piattaforme di ascolto.

Se dovessimo immaginare di indicare alcune figure che a buon diritto fanno parte della classe politica europea, allora tra loro ci sarebbe il lèttone Valdis Dombrovskis. Il suo curriculum è abbastanza eloquente: europarlamentare tra il 2004 e il 2009, nella prima legislatura europea utile dopo l’ingresso della Lettonia nell’Unione, nei 5 anni successivi è stato primo ministro lettone e dal 2014 è commissario europeo, il primo mandato con la presidenza Juncker e il secondo, quello uscente, nel collegio guidato da Ursula von der Leyen.

Per lui sembra quasi scontata la riconferma e si profila quindi un terzo mandato nell’esecutivo europeo. Le ragioni sono semplici quanto solide: è uno dei leader del partito al potere in Lettonia Vienotiba (Unità), che esprime anche l’attuale primo ministro, Evika Silina; senza dimenticare che l’area di riferimento è il Partito popolare europeo. Negli ultimi dodici mesi si era fatto avanti un contendente per il ruolo europeo, il numero due del partito e che con Dombrovskis ha condiviso l’esperienza politica anche nel suo primo partito, Jaunais laiks (Nuova Era), fondato nel 2002 prima della fusione con altre due forze politiche nel 2011 proprio in Vienotiba. Il contendente era Kisjanis Karins, premier lèttone tra il 2019 e il 2023, che dopo le dimissioni nell’agosto dello scorso anno per contrasti interni alla coalizione di governo, è stato nominato ministro degli esteri. Ma il suo incarico è durato pochi mesi, visto che a fine marzo ha dovuto lasciare l’incarico per uno scandalo sulle spese pazze per l’uso di jet privati per gli incontri di Stato: come primo ministro, avrebbe speso 600.000 euro a carico del bilancio statale. Oltre a ciò, l’Unione europea ha trasferito altri 557.000 euro a Riga per i suoi viaggi, la cifra più altra tra i 27 Stati membri. Questo scandalo lo ha messo fuori gioco, dopo che lo scorso anno aveva espresso la volontà di correre per un posto in Commissione europea o alla Nato.
Tornando a Dombrovskis, è identificato da sempre come un «falco» sui conti; si potrebbe dire che è il Commissario europeo dei Paesi cosiddetti «frugali», ma al contempo rappresenta un’anima del Partito popolare europeo. In un’intervista di qualche anno fa aveva parlato anche della sua grande intesa politica con Angela Merkel basata su studi comuni: lui laureato in Economia ma con un master in fisica, mentre l’ex cancelliera tedesca era laureata in fisica, con un dottorato in Chimica quantistica.

Poco empatico, quasi gelido (in questo ricorda la collega danese Margrethe Vestager), è il nemico idealtipico per sovranisti ed euroscettici perché incarna in qualche modo l’establishment europeo. Ma con buona pace dei populisti europei è bene sapere che non potrebbe esistere un’Unione europea senza un establishment e senza una classe politica continentale.

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