Economia

Un'ottima annata per il pescato bresciano

Nel 2012 i pescatori gardesani e sebini hanno tirato in barca la bellezza di 450 tonnellate di pesce per un business di 4 milioni
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È stato visto per tanti anni come un lavoro troppo duro per i giovani, e per giunta poco redditizio. Oggi, pur conservando orari difficili e la rudezza del confronto faccia a faccia con l'inverno, è una delle professioni in crescita nel gradimento dei giovani, sia perché offre condizioni di libertà e vicinanza intima con la natura, sia perchè insegna a cavarsela con le proprie mani. Intensa quasi solo come una cosa romantica, destinata a scomparire o sopravvivere per merito di qualche vecchio pescatore, la pesca sui nostri laghi negli ultimi anni non ha perso quota. Anzi, ha guadagnato appeal.

E l'iscrizione all'albo bresciano dei Pescatori professionisti di nuove giovani leve lo testimonia. Nonostante un fatturato da nicchia, i pescatori si stanno consolidando un ruolo da colonna portante, capace di alimentare un indotto che tra ristorazione «tipica» e turismo ha ancora promettenti margini di crescita.

Nel 2012, secondo un calcolo verosimile redatto dalla Provincia di Brescia per il Piano finanziario, i pescatori gardesani e sebini hanno tirato in barca la bellezza di 450 tonnellate di pesce di vario tipo, principalmente coregone e sardine, per un business potenziale «dalle reti agli acquirenti» di 4 milioni e mezzo di euro. Sul Garda delle 400 tonnellate circa la metà sono state prelevate dai veronesi, con la Cooperativa di Garda che ha dichiarato ufficialmente l'arrivo di 170 tonn., l'80% del totale scaligero.

Un giro d'affari quello dei prodotti ittici d'acqua dolce che si amplia fino a cinque volte per il lavoro dei ristoranti rivieraschi, per un ammontare del «nostrano» nei piatti delle migliaia di consumatori finali di almeno 20 milioni di euro. Una stima questa che non tiene conto del pescato d'acqua dolce acquistato negli allevamenti e in altri laghi, che porterebbe senz'altro il fatturato annuo bresciano ben oltre le due decine di milioni. Rispetto al pesce di mare con qualità simili - e questo è uno dei fattori che può portare a conquistare nuove fette di mercato - il nostro pesce arriva a mala pena a costare la metà.

Per gli 85 professionisti della pesca bresciani (48 sul Garda, 34 sull'Iseo e 3 sull'Idro) il lavoro non manca comunque d'inconvenienti, tra difficoltà a vendere il pescato, la concorrenza sleale di dilettanti che vendono sottocosto, l'inquinamento delle acque e la decimazione di specie che in passato abbondavano. «Vendere non è sempre facile - conferma il presidente della Cooperativa di pescatori del Garda Marco Cavallaro -.

Ci sono dilettanti che fanno concorrenza a chi vive del reddito del suo pescato, dalle nostre parti soprattutto per sardine e lucci, e questo crea danni economici a chi deve pagare tasse e gabelle del mestiere. I costi del pesce di lago? Il coregone può esser venduto ai grossisti a 3-4 euro al chilo mentre ai piccoli clienti chiediamo 7-8 euro. Più cari il persico e il luccio, il primo sui 9-10 euro, il secondo tra 10 e 14. Rispetto al pesce di mare, dico all'orata o alla spigola, chiediamo la metà. Le difficoltà invece - precisa Cavallaro - sono legate alla sparizione di specie importanti come l'alborella e il carpione, e al divieto di pesca per inquinamento delle anguille».

Dell'annata 2012 non ci si può lamentare. «È stata favolosa. Da cinque anni facciamo stagioni tanto abbondanti per coregoni, sardine e persici, da dover saltare qualche giorno di pesca perché saturiamo il mercato. Gran parte del merito va al lavoro impagabile dell'incubatoio di Desenzano».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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